Lotta alla psichiatria e al trattamento sanitario obbligatorio

Quando non si vuole comprendere un comportamento, lo si liquida in modo semplicistico come “follia” o “malattia mentale”. Un comportamento non è mai una malattia, come dice Thomas Szasz, giusto o sbagliato che sia. La psichiatria non è una medicina né una scienza, ma una pseudoscienza che parodia la medicina, nata per stigmatizzare e controllare le persone.

La vera medicina si basa su diagnosi oggettive: esami del sangue, tac, raggi x, radiografie ecc.

Le diagnosi psichiatriche, invece, sono soggettive, non oggettive: un “medico” ti giudica osservandoti in base ai manuali che ha studiato.

Hai un carattere irascibile? Sei pazzo. Sei un criminale? Un assassino? Sei pazzo o malato. Tuo figlio è un bambino estremamente vivace? Potrebbe avere qualche disturbo. Al contrario, è introverso e timido? Potrebbe avere qualche “malattia mentale”.

La tua migliore amica ha cominciato a credere nelle cospirazioni? O è convinta che qualcuno la stia spiando e le stia dando la caccia? Non ha semplicemente un pensiero che, secondo te, è sbagliato, o strampalato e sciocco: deve essere impazzita.

Tu, però, che vivi in un Paese cattolico e credi in Dio, nella Madonna e parli con loro, sei “sana di mente”, sei solo semplicemente una cattolica. La tua cliente ha le allucinazioni? Sente voci? Allora sicuramente è schizofrenica.

Tua madre anziana, invece, racconta di aver visto la Madonna, però, è semplicemente credente.

Un tuo concittadino ha deciso di andarsene in giro con un carrello per la spesa? Non chiederti se c’è un motivo: è molto più facile liquidarlo come matto. Sì, deve essere sicuramente impazzito e non c’è nessun’altra spiegazione.  O meglio, non vale la pena di cercarla o chiederglielo.

Una ragazza viziata fa la prepotente con la madre? Non c’è alcun dubbio: è pazza.

Quella stessa ragazza, stanca della vita, che non ha potuto darle ciò che avrebbe voluto e che non va d’accordo con sua madre, decide di farla finita?

Anche in questo caso, è sicuramente pazza, malata di mente e ha bisogno di un dottore che la rinchiuda, mettendola comunque a rischio di morire, come succede sovente.

Quello che in realtà bisognerebbe fare è recarsi sul luogo, salvandola e aiutandola, standole vicino. Soprattutto se vi ha avvisato telefonicamente che sta per commettere questo atto estremo.

Quando diciamo che la malattia mentale non esiste, alcuni preferiscono – confermando ciò che abbiamo detto – liquidare anche noi come malati di mente, anziché cercare di capire cosa intendiamo.

Quando diciamo che la malattia mentale non esiste, non stiamo dicendo che non esistono problemi filosofico-esistenziali, non stiamo dicendo che non esistono criminali, persone pericolose, o che non esistano persone con lesioni al cervello (di cui si occupa la neurologia, non la psichiatria, o la psicologia né nessun altro psicoqualsiasicosa), non stiamo dicendo che il cervello non possa ammalarsi, ma che non può “ammalarsi la mente” e che non si possono ridurre tutti questi problemi a mera “follia” o “malattia mentale”. Poiché la malattia, per definizione, è fisica, non può essere “mentale”.

Che cos’è, infatti, la mente?

Come scrive la dottoressa Maria Rosaria D’Oronzo nel libro “Sorvegliato mentale” (Nautilus edizioni), “psico” etimologicamente “è una parola che significa anima, mente, persona. E’ un concetto astratto. Questa è la ragione per cui gli anatomo-patologi non possono trovare le malattie mentali nel corpo o nel cervello quando li sezionano. Non possono trovare lo spirito. Nella fisica, nella chimica, nella biologia siamo interessati solo alle cause, non ai significati.

[…] il dialogo permette di capire il ragionamento. Il mondo di un’altra persona lo si conosce con il dialogo. La comunicazione distrugge il concetto di pazzia. Per sapere i significati di una persona bisogna ragionare insieme”.

Quando parlo della lotta alla psichiatria – soprattutto quella coercitiva – ai miei amici, mi chiedono provocatoriamente “E allora che cosa si dovrebbe fare? Qual è la soluzione?”

E quando provo a dire che, per rispondere alle loro domande, bisognerebbe che io conoscessi la storia di ogni individuo etichettato come matto, alzano le spalle: non la sanno o non vogliono raccontarla, o peggio ancora non vogliono saperla, come se pensassero che non è importante.

Si può supporre che in alcuni casi (spesso), i familiari, osservando comportamenti che per loro sono ritenuti inaccettabili, delegano gli psichiatri, i quali sottopongono il “paziente-prigioniero” al T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio), soprattutto se ritenuto “pericoloso per se stessi e per gli altri”, obbligandolo ad assumere le droghe (ipocritamente definite psico-farmaci) che lederanno al suo cervello e si ammalerà sul serio, nel verso senso della parola.

Si potrebbe dire, giocando con le parole, che la vera “follia” sia proprio questa: credere, come dei superstiziosi creduloni, che la “mente” si curi attraverso il cervello, che è come credere che l’anima si possa curare agendo sul corpo.

Come ogni droga, anche quelle legali – definite psicofarmaci – sono deleterie per il corpo e creano dipendenza.

Gli psichiatri credono (e fanno credere) che le crisi di astinenza dovute alla dismissione siano ricadute (per non parlare di quando credono che la dismissione stessa sia un sintomo della ricaduta), quando in realtà sono semplicemente fasi della dismissione appunto.

In ogni caso, considerando che non per tutti dismettere è facile, sarebbe sempre consigliabile non assumerli, ma allo stesso modo in cui ci opponiamo all’obbligo di assunzione, ci opponiamo anche all’obbligo di dismissione o non assunzione.

Noi li sconsigliamo e chi ne usufruisce volontariamente deve per lo meno essere consapevole che non sta assumendo medicinali o terapie, bensì delle vere e proprie droghe e conoscerne dunque gli effetti (è scorretto aggiungere l’aggettivo “collaterali”). Ciò che però, bisogna combattere ancora di più, fino all’abolizione totale, è la medicalizzazione forzata.

Ogni volta che si parla dell’abolizione del trattamento sanitario obbligatorio, ci rispondono sempre che esistono “persone pericolose per se stesse e per gli altri”, citando la legge 180.

In realtà, la legge che porta, in modo improprio, il nome di Basaglia (legge che lui stesso non condivideva) non prevede più la pericolosità come motivo di T.S.O.

Credere che la pericolosità o la criminalità sia una malattia è una teoria obsoleta appartenente alla “scienza” di Cesare Lombroso.

Tra l’altro, questa teoria ha sempre valso soltanto per l’individuo e mai per le autorità.

Come scrive Giorgio Antonucci Quando Gaetano Bresci, il 29 luglio del 1900, uccise il Re Umberto I vi fu sui giornali e sulle riviste un vivace dibattito sul problema della normalità o anormalità del militante anarchico responsabile del regicidio. Però nessuno mise in discussione le facoltà mentali del generale Bava Beccaris che nel 1898 a Milano aveva sparato coi cannoni sulla folla affamata.

Purtroppo, però, teorie del genere sono rimaste nella mentalità della maggioranza delle persone, ragion per cui, il T.S.O. viene applicato per la pericolosità, benché la legge non lo preveda più da anni.

La legge 180 afferma invece che il T.S.O. deve/può essere applicato a un paziente quando questo rifiuta le cure e si trova in uno stato mentale in cui le capacità di giudizio sono alterate.

Ma siamo sempre punto e da capo: come si fa a stabilire se le capacità di giudizio di un soggetto sono alterate? Secondo chi? Con quali mezzi? Sempre con giudizi arbitrari e soggettivi.

Sono spesso “gli altri”, i familiari, i parenti, che – preoccupati per il soggetto – lo giudicano incapace di intendere e di volere e delegano uno psichiatra, ovvero un falso medico.

L’esempio più comune che mi viene in mente è la persona che soffre di disturbi del comportamento alimentare. Si tratta effettivamente di un problema legato a questioni “psicologiche” ed esistenziali le cui cause vanno esaminate e ricercate.

Come dicevamo, con le persone occorre dialogare, capire di che cosa hanno bisogno.

Libertà? Amore? Amicizia? Tutte e tre queste cose insieme? Altro? Non lo sappiamo: ogni caso è diverso da individuo a individuo, ecco perché occorre dialogare. Quel che sappiamo è che di certo non hanno bisogno di parole dure, rimproveri, droghe (psicofarmaci). Non hanno certo bisogno di essere legate a un letto ed essere alimentate e/o “curate” forzatamente. Quel che è certo è che chiunque di noi che si trovasse a un letto legato, si agiterebbe e tenterebbe di ribellarsi (per gli psichiatri invece avremmo avuto “una crisi” e ci inietterebbero sedativi).

Ancora una volta le paroline magiche sono “mutuo appoggio” e “libertà”. Bisogna fare sacrifici per aiutare – se vogliono essere aiutate –  le persone difficili anziché non delegare “medici”, trattandosi di relazioni umane, nulla a che fare con la medicina. Bisogna stare accanto a queste persone, se lo vogliono. E rispettare anche la loro volontà di non essere aiutate, se non lo vogliono.

Perché è facile, troppo facile, dar loro delle droghe per farle stare zitte e lasciarci dormire.

E le “soluzioni” facili e immediate sono sempre pericolose.

Spesso mortali.

P.S.

Per coloro che ci chiedono “E allora come si fa con le persone pericolose”?

Come abbiamo già detto, non c’entrando la pericolosità con la psichiatria, in una società che dovrebbe essere democratica, è ovviamente preferibile una soluzione democratica: denunce e processi per ascoltare accusa e accusato.

In ambito libertario, invece, la questione è effettivamente più complicata e cercheremo di approfondirla nel prossimo articolo.


Giorgio Antonucci. I pregiudizi e la conoscenza. Critica alla psichiatria (ebook gratuito).

Thomas Szaz, I manipolatori della pazzia (ebook gratuito)

Thomas Szasz – Schizofrenia, il simbolo sacro della psichiatria

Giuseppe Bucalo “Sentire voci” (ebook gratuito)

Giuseppe Bucalo “La malattia mentale non esiste” (in vendita)

Manuale di autodifesa (dal tso e dalla psichiatria) – Giuseppe Bucalo

Paola Minelli e Maria Rosaria D’Oronzo “Sorvegliato mentale” (in vendita)

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