I veri (ir)responsabili

Il volantino ANARCHICO per cui mi hanno rotto i coglioni a fine novembre, oltre a dire che volevo formare un gruppo ANARCHICO, diceva anche che avremmo potuto impedire cose come quella che è accaduta, cominciando a vivere in autogestione (IN ANARCHIA) e quindi in armonia con la Natura. Ma qui si preferisce sempre “curare i sintomi” con la repressione, anziché andare alle radici dei problemi. Ora tutti “responsabili”, perché è più facile chiudersi dentro e chiamare gli sbirri. Mi verrebbe proprio voglia di uscire, avere contatto con tutti, farmi contagiare e contagiare tutti, così finalmente finisce quest’umanità imbecille che non si ribella.

Il sistema capitalista prima provoca danni e poi scarica la colpa sui “cittadini irresponsabili”.

E voi, invece, siete stati responsabili, signori padroni?

Voi che distruggete e contaminate la Natura, che ci costringete a respirare aria inquinata e mangiare cibi cancerogeni, avendoci sottoposti tutti al ricatto economico.
Voi che mettete in galera coloro che si battono contro le devastazioni ambientali per evitare situazioni come quella attuale.
Voi che ci barricate in casa e non ci permettete nemmeno di fare una passeggiata solitaria, benché non provocherebbe nessun danno: basta rispettare le distanze di sicurezza e le “regole del buon senso”. Non ci permettete nemmeno di vedere il sole, benché i suoi raggi – anche se ormai avete avvelenato anche quelli – possono fare in modo che assorbiamo vitamine e ci fanno bene alla pelle (e all’umore).

Voi che ci permettete di uscire soltanto per “comprare beni di prima necessità”, dato che ci impedite di procacciarceli e/o autoprodurceli, fino a togliercene le capacità. E io che odio i supermercati, sarò costretto ad andarci anche solo per cercare di prendere una boccata d’aria, contribuendo ancora di più allo sfruttamento di altri individui e all’arricchimento di altri (perché nella società nell’abbondanza, quei “beni” li producono gli schiavi sfruttati per arricchire i padroni).
E intanto devo sopportare le stronzate della televisione.

Siete responsabili voi?

Sì, in effetti, siete I responsabili di tutto questo.

Comodo, troppo comodo, prendersela con l’individuo e “l’irresponsabilità dei cittadini”, sorvegliandoci e trattandoci come bambini, parlandoci in tono paternalistico, anche se chiusi dentro rischiamo di impazzire. Perché che senso ha rinunciare a vivere per paura di morire? La polizia, per lo meno, dovendo sorvegliarci, esce a prendere qualche boccata d’aria.
Ma noi? Come facciamo? Dovremmo, come consigliano i politici, rivolgerci tutti a qualche psichiatra, quando cominciamo ad avvertire gli effetti della reclusione?

Comodo condannarci a questi arresti domiciliari, quando i colpevoli siete voi.
Sarebbe, invece, troppo scomodo cercare le cause dei problemi ed estirparne le radici.

Comodo non capire che, se la gente esce, è per non impazzire. E non solo perché ci sono famiglie i cui membri tra loro non vanno d’accordo, ma perché non è la nostra condizione naturale stare chiusi dentro, ecco perché la gente si comporta, come dite voi, da “irresponsabili”.

Avete ragione, noi non siamo responsabili.
Non siamo noi i responsabili di tutto questo. Lo siete voi.
Noi stavamo soltanto cercando di vivere, che già era difficile prima della pandemia.

Perché voi, signori padroni, siete i responsabili.
Voi che provocate tutto questo in nome del profitto.

E che cosa intendete quando dite che “andrà tutto bene”, come ipocritamente ci spingete a ripetere?
Che torneremo a produrre e a consumare prodotti cancerogeni, dato non tutti possiamo permetterci l’orto sinergico purtroppo, avendo privatizzato la terra?
Che potremo ritornare a respirare l’aria inquinata e morire di cancro?
Che potremo ritornare a contribuire alla sofferenza di tanti individui (animali e non) per il vostro profitto?
Tanto anche lì continuerete a dire che siamo noi gli irresponsabili. E quando non ne potrete più, direte che la colpa è “dell’essere umano”, non dei padroni.

Ma tranquilli, c’è il sistema con i suoi servi a proteggerci e a “risolvere i problemi”.

Io resto a casa, però smettetela di mentirci.
Io resto a casa, ma sappiate che sto impazzendo.
Io resto a casa perché anche chi vuole cercare di cambiare le cose in meglio, viene redarguito, punito e arrestato da quegli stessi colpevoli che hanno fatto tutto questo.
Io resto a casa perché non voglio avere niente a che fare con i delatori.
Io resto a casa perché lo so che il virus è reale e pericoloso.
Io resto a casa, ma voi state esagerando a impedirci anche una passeggiata da soli.
Io resto a casa, però smettetela di prenderci per il culo.
Io resto a casa, però siete voi il più grande e pericolosissimo virus che ci stava già ammazzando da tempo in silenzio.
Io resto a casa, però, non dimentico che siete voi, sempre voi i veri (ir)responsabili.

“Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.

Il problema del carcere e della sicurezza nel pensiero anarchico

Talvolta rabbrividisco, quando persino alcuni che si dicono anarchici (“anarchici” ancora confusi, forse) sostengono che “in certi casi il carcere è necessario”, ragionando allo stesso modo semplicistico degli statalisti che parlano di rieducazione o addirittura di pena di morte.

Rieducare a che cosa? Alla legge dello Stato? Essa è per l’appunto la legge del più forte. Paradossalmente, è la stessa legge del Sistema ad educare alla criminalità, essendo il Sistema nato sulla forza, sulla violenza e sul terrore politico. Chi non diventa “criminale” o non infrange le leggi dello Stato o non si ribella, diventa un bravo schiavo che sta comunque male nella prigione del Sistema, nella cosiddetta società civile, spesso costretto a utilizzare vari palliativi, (discorso che abbiamo già affrontato negli articoli “la droga non si combatte con la repressione” e “manifesto del movimento anarchico caudino”). Quando l’individuo muore a causa della droga o per suicidio, il popolo versa poi lacrime di coccodrillo, i giornalisti scrivono articoli pieni di retorica, gli intellettuali e le scuole fanno convegni in cui parlano di suicidi, di giovani, di droga e invitano a contattare sbirri e psicologi.

Alcuni sostengono che in galera dovrebbero andarci mafiosi e politici. Ma se questi finissero in galera – strumento dello Stato – significherebbe che, anche senza volerlo, si è costituito un nuovo gruppo di potere. Immaginiamo una rivoluzione anarchica: se, dopo (o durante) l’immaginaria rivoluzione, mettessimo in galera politici e mafiosi, saremmo noi i nuovi politici e i nuovi sbirri: saremmo di nuovo punto e a capo, come è già accaduto in ogni rivoluzione marxista-leninista.

Per trattare la questione del carcere, dato che a livello di rivoluzione siamo a zero, bisogna esaminare due punti di vista: il carcere in una possibile società anarchica e il carcere nella nostra società attuale e democratica.

In una società anarchica, chi “ruba”- giacché avremmo tutti il necessario per sopravvivere-, sarebbe da considerare un nuovo avido capitalista, un nuovo oppressore da combattere e da cui difendersi, proprio come dovremmo fare oggi nella società democratica per combattere il potere.

Errico Malatesta, ai suoi tempi, era convinto che se in una società anarchica ci fossero stati ugualmente criminali, assassini, stupratori, questi sarebbero necessariamente da considerare dei malati.

“[…]in colui che commette atti antisociali, non vedremmo già lo schiavo ribelle, come avviene al giudice di oggi, ma il fratello ammalato e necessitoso di cura” scriveva nel suo libro “L’anarchia il nostro programma”. All’apparenza, nessuna risposta più libertaria di questa. Tuttavia, oggi sappiamo che tale affermazione significherebbe dar ragione alla psichiatria e che in quel caso, la medicalizzazione forzata sarebbe delegata alla società, non più alle autorità. Ma sarebbe pur sempre una barbarie basata su una teoria lombrosiana. Ci siamo già occupati di questa questione nell’articolo precedente riguardo la psichiatria.

Quella risposta di Malatesta fu contestata da alcune personalità come l’anarchico individualista Enzo Martucci che riporta in un suo scritto questa riflessione: “voler curare, per forza, questi individui; volerli guarire ad onta della loro volontà, sarebbe come pretendere da un tubercolotico che si astenga dal fumo e dall’alcool per allungare la sua vita. “Ma a me non importa di morire prima – risponderà l’ammalato – purché possa ora soddisfarmi a modo mio. È meglio vivere ancora un solo anno, godendo, e non dieci soffrendo e rinunziando a tutto”. Vorrete costringere a salvarsi quelli che vorranno perdersi? Ma allora non saranno più essi padroni della loro esistenza. Non potranno disporne come meglio crederanno, e sentiranno come un male il bene che intenderete fare. Se la Clara di Mirbeau o i personaggi di Sade cercano di seviziarvi, sparate su loro. Ma lasciateli in pace e abbandonate l’idea di indurli al pentimento, in nome di Dio e della morale, o di curarli e guarirli, per la gloria della scienza e dell’umanità. Ed inoltre, è poi vero che tutti coloro che consumano un delitto sono malati, pazzi degni del manicomio e della doccia? Se la domanda la rivolgete alla scienza di Lombroso, questa vi risponde affermativamente. Vi definisce il crimine come un ritorno atavico. ” – scrive Martucci nel suo libro “La bandiera dell’Anticristo” (dal capitolo “Né galere né poliziotti).

Affermazioni come “sparate piuttosto su di loro, ma non curateli” fanno anch’essere rabbrividire di certo. Ma è paradossale che facciano rabbrividire coloro che credono sia meglio e meno violento rinchiudere una persona in una prigione e/o in un ospedale. Si dovrebbe innanzitutto riflettere sulla differenza tra l’individuo che assassina un oppressore e il potere che assassina l’individuo o un suo avversario politico: in poche parole non è uguale alla pena di morte.

Fatto sta che, come abbiamo già detto, con un trattamento sanitario obbligatorio si rischia comunque la morte o, peggio ancora, di fare ammalare davvero l’individuo.

Non a caso, oggi, gli stessi movimenti anarchici che si riconoscono nel programma di Errico Malatesta, hanno fondato dei collettivi antipsichiatrici e sanno che un criminale non è un malato da curare.

Su una cosa concordano ormai tutti, individualisti, collettivisti e stirneriani: dall’oppressore bisogna sempre difendersi, bisogna sempre essere pronti, magari cercando di metterlo in fuga e di non ammazzarlo, se questo non sta attentando alla nostra vita. La mentalità e l’educazione statalista, democratica e soprattutto cristiana può farci apparire la legittima difesa come una soluzione da leghisti. Non è così. Anche perché i leghisti e i fascisti legittimano la difesa della proprietà privata, che noi vogliamo abolire.

Mi fanno sorridere quelle persone che, scoperto che esistono delle comunità anarchiche, mi chiedono come fanno a difendersi se lì non c’è la polizia. Sarebbe molto più sensato invece chiedersi, come fanno a difendersi DALLA polizia.

“E se arriva un sociopatico che all’improvviso spara addosso alla gente”?

Ancora una volta si attribuiscono erroneamente la criminalità e la pericolosità alla cosiddetta fantomatica malattia mentale. Ci ritorna in mente il già citato esempio di Giorgio Antonucci riguardo la vicenda di Gaetano Bresci e Bava Beccaris: chi era il “sociopatico” o “malato di mente”? Gaetano Bresci che uccise il re oppressore? O Bava Beccaris che sparò sulla folla? Nessuno dei due. Ognuno di loro aveva le sue motivazioni per farlo: ricercare le motivazioni, non vuol dire giustificarle o condividerle, significa tentare di capirle.

Non esiste una persona che spara addosso alla gente senza motivo. Può essere ovviamente un motivo futile, può essere un motivo ovviamente non condivisibile, ma il motivo c’è. Sempre.

Ma se anche esistessero i cosiddetti sociopatici che sparano addosso alla gente: che cosa c’entra la polizia? Potrebbe forse impedire un massacro? Qualcuno potrebbe rispondermi che “vista la presenza della polizia, l’individuo ci penserebbe due volte prima di fare un massacro”, senza rendersi conto che in questo modo cade per l’appunto la teoria del soggetto che non sarebbe in grado di intendere e di volere.

Gli statalisti, affermano sempre che “senza la polizia sarebbe peggio”, perché non hanno ben compreso che occorrerebbe andare alle radici dei problemi per estirparle, non “curare i sintomi”, non nascondere i problemi in un carcere, non reprimere e punire anche chi si trova costretto a delinquere oppure influenzato dallo stesso sistema capitalista che ci educa ad avere di più e a prendercelo con la forza oppure al contrario a essere remissivi e pagarne comunque tutte le conseguenze che paghiamo noi tutti: anarchici e statalisti. Il carcere, si può dire, è una delle “soluzioni” comode ai problemi che provoca il Sistema stesso, insieme alla nostra cultura, la nostra educazione, dal moralismo sessuofobo che reprime i nostri istinti e provoca perversioni e trasforma il sesso – ciò che è un istinto naturale – in atti violenti, così come la stessa cultura del dominio (dice bene, in entrambi i casi, lo slogan femminista “lo stupratore non è malato ma figlio del sano patriarcato”). Si preferisce arrestare spacciatori e venditori di contrabbando, anziché cercare di capire perché c’è chi sceglie questo mestiere per sopravvivere e perché c’è gente che fa uso di droghe (abbiamo già detto che la droga non si combatte con la repressione, ma con la libertà e che un altro paradosso del sistema è combattere le droghe illegali e obbligare ad assumere quelle legali).  Noi anarchici lo diciamo sempre: non ci sono criminali da punire, ma le cause dei crimini eliminare. Ovviamente questo non conviene al Sistema, altrimenti dovrebbe autodistruggersi.

Immaginando invece, di nuovo un possibile mondo anarchico, oppure semplicemente una comune libertaria, dobbiamo comunque pensare eventualmente a come difenderci, non tanto gli uni dagli altri come temono gli statalisti, ma dai nuovi possibili oppressori.

Qui ed ora invece, di certo non basta eliminare il carcere. Bisogna, invece, cominciare a costruire una società completamente libera (non solo dal sistema, ma anche dai preconcetti, dal familismo, dal bigottismo, dal moralismo), dove tutti sono soddisfatti e si riduce al minimo la possibilità e l’incentivo di commettere atti criminali. Per fare questo, però, a mio avviso, bisognerebbe cominciare a liberarsi dall’educazione alla legalità a cui ci indottrinano fin dalla scuola, da quella religiosa a cui ci indottrinano fin dalla tenera età in famiglia. Bisogna dunque creare tante piccole o grandi comunità libere, basate sul mutuo appoggio e sulla libertà, senza la famiglia nucleare, senza i vincoli matrimoniali, con scuole libertarie e/o educazione parentale, anziché scuole statali o private. Continuare, come già si sta facendo da anni, a creare spazi di libertà, radio indipendenti e canali di controinformazione (oggi anche con l’aiuto della rete); terreni autogestiti con orto sinergico gestito insieme agli amici, fare autoproduzione il più possibile per boicottare il capitalismo e lo Stato e prepararci sempre a difenderci dalla sua violenza. Sappiamo infatti che lo Stato è sempre più violento e malvagio, perciò, per ogni passo avanti che faremo, esso proverà (e spesso riuscirà) a ostacolarci, ma noi dovremo resistere.

Come scrive ancora Colin Ward “L’istituzione più violenta della nostra società è lo stato, che reagisce con la violenza ai tentativi di sottrargli il potere. (Come diceva Malatesta, tu cerchi di fare le tue cose, quelli intervengono, e poi tu sei quello a cui vengono rimproverati gli scontri che ne derivano). Questo significa che quei tentativi sono sbagliati? Bisogna distinguere tra la violenza dell’oppressore e la resistenza degli oppressi” ( da Anarchia come organizzazione)

Noi anarchici, sia ora, sia nel mondo che potremmo costruire, dovremo sempre difenderci dall’oppressore, che sia un banale delinquentuccio, che sia lo Stato, che sia la Mafia, non fa alcuna differenza. Gli anarchici dovranno sempre combattere, individualmente e collettivamente, ogni forma di dominio con ogni mezzo, senza disdegnare nemmeno il metodo dei cosiddetti pacifisti e hippy, se pensano che possa essere efficace il metodo di lotta pacifico. Del resto, lo stesso Malatesta, che pacifista non era affatto, scriveva “Non saremo buoni da noi a mettere a dovere chi non rispetta gli altri? Soltanto, non li strazieremo, come si fa adesso dei rei e degli innocenti; ma li metteremo in posizione di non poter nuocere, e faremo di tutto per riportarli sulla dritta via” (dal libro “Fra contadini. Dialogo sull’anarchia”).

Come scrive, però, Colin Ward , senza allontanarsi tanto dall’affermazione di Malatesta“Naturalmente in ogni società, anche in quella meglio organizzata, ci saranno individui passionali, le cui azioni, qualche volta, potranno essere contrarie all’interesse comune. Ma al fine di prevenire anche queste possibilità, l’unica soluzione è quella di garantire sbocchi positivi al carattere passionale di costoro” (Anarchia come organizzazione).

Anche se il potere non sarà mai completamente distrutto, bisogna in tutti i modi cercare di inceppare i suoi ingranaggi e cercare di distruggere la maggior parte, per quanto possibile, delle cause dei crimini, fino a che non ci sarà più bisogno del carcere.

Resistenza e lotta di liberazione animale

Questo clima di tensione, di stallo, non ferma certo i mattatoi e le torture agli animali. Prima che ci mettessero tutti in quarantena, io e miei amici avremmo voluto fare volantinaggio per ricordarci di tutti gli individui, anche gli animali, che sono spesso dimenticati e considerati meno importanti. L’antispecismo, al giorno d’oggi, deve essere incluso soprattutto nelle lotte degli anarchici (e non solo). Ecco perché questo non sarà l’unico articolo al riguardo che pubblicherò sul blog. Buona lettura:

C’è una rivoluzione in atto: puoi restare indifferente ed essere complice dell’oppressione, oppure puoi unirti a chi sta cercando di cambiare il mondo, entrando nella storia. Sta a te la scelta. Basta cambiare alcune abitudini e spronare tutti gli altri. La scelta vegana non è una moda, non è una mera questione di gusti, non è una dieta per dimagrire o per intolleranti ai derivati animali, ma una vera e propria lotta di liberazione per gli animali costretti a soffrire per degli inutili vizi di borghesi, animali sfruttati e uccisi al solo scopo di soddisfare il palato degli umani, per diventare “cibi” che non sono necessari alla nostra sopravvivenza. Eppure, se proprio non si riesce a fare a meno di quei cibi, devi sapere che ormai è possibile fare di tutto con ingredienti vegetali: gelati, creme al cioccolato spalmabili, yogurt, panna (sia dolce che salata), burro, margarina, mozzarella, formaggi, ricotte e persino “bistecche” e bastoncini di mare. Grazie alla rete internet, puoi scoprire nuove ricette per piatti dolci e salati, rivisitare piatti tradizioni con ingredienti diversi, senza dover torturare animali (puoi cercare su vegolosi.it). Così come la vitamina b12 viene integrata nei cibi animali così può essere tranquillamente integrata in cibi vegetali. Vale la stessa cosa per i vestiti: finora anche noi abbiamo indossato inconsapevolmente indumenti fatti con pelle di animali uccisi, ma ora sappiamo che non è necessario: visita, ad esempio, il sito di Pirovega, negozio che vende borse e scarpe senza l’uccisione di animali, senza lo sfruttamento degli esseri umani e nel rispetto dell’ambiente. Ci hanno inculcato la grande menzogna della catena alimentare, benché allo stesso tempo ci si vanti di vivere nella civiltà, dove ci sono centri commerciali e supermercati. Non siamo su un’isola deserta, non viviamo nel Paleolitico, dove era ancora necessario mangiare carne. Ma soprattutto, a scuola ci hanno raccontato la grande menzogna della piramide alimentare dove ci dicono che per assorbire il calcio è necessario bere il latte di una mucca. Ci hanno mentiti alla televisione dove, con le pubblicità, ci fanno credere che le mucche producano continuamente latte e che siano felici di “regalarcelo”. Ma il latte è un alimento per cuccioli e ogni mammifero, come la donna umana, lo produce soltanto quando è incinta. Per aumentare la produzione dunque, le mucche devono essere ingravidate artificialmente di continuo e ogni volta devono vedersi sottrarre il proprio cucciolo che verrà imprigionato e ucciso per diventare carne. Per questo, il vegetarianismo non basta. Guarda su internet il video “l’industria del latte in cinque minuti” e informati sulla spaventosa industria delle uova e su come viene prodotto il miele. Anche noi pensavamo si trattasse di eccezioni, poi ci siamo guardati intorno e abbiamo compreso che la quantità della produzione industriale non poteva essere un’eccezione, ma la regola, purtroppo. Sostituisci il miele con lo sciroppo d’acero e altri ingredienti completamente vegetali, bevi “latti” vegetali, ma non di animale. Non credere, inoltre, alla storia della sovrappopolazione degli animali: essi vengono fatti nascere artificialmente soltanto per essere trasformati in quelli che sono tutto sommato cibi spazzatura che possono essere evitati o sostituiti. Ricorda, inoltre, che gli allevamenti (intensivi e non) oltre ad essere un orrore per gli animali, sono nocivi per l’ambiente e di conseguenza per la nostra salute. Boicotta anche i circhi, boicotta gli zoo (se vuoi vedere animali, recati ai rifugi e ai “santuari” che proteggono quelli salvati dalla prigionia e dalle uccisioni), boicotta l’industria del latte, delle uova, della carne, del miele, del pesce, del commercio di animali (adotta, non comprare!) Controlla le etichette di ciò che compri, assicurandoti che non contengano derivati animali. Se sei un negoziante, un ristoratore, il proprietario di un bar, di una gelateria, puoi fare molto per cambiare il mondo! Come dicevamo, puoi voltarti dall’altra parte, tacciandoci di noiosi rompiscatole oppure partecipare a questa vera e propria rivoluzione.

“La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà ne è la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà altrui”

(M. Bakunin)

Vedi anche Piramide alimentare, come mangiare vegetale in modo equilibrato

E anche i comuni errori dei vegani (e come evitarli)

Consiglio anche il libro della dottoressa Marina Berati “Perché vegan

Antisessismo Anarchico: per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

La salvezza dell’individuo è nell’individuo stesso, non di certo nel supplicare diritti alle istituzioni. Non sarà mai il sistema a proteggerci dalla violenza, perché esso stesso è violento, esso stesso crea strutture violente, ci ha rinchiusi in una gabbia fatta di altre piccole gabbie che ci dividono e ci mettono gli uni contro gli altri, incitandoci a diffidare gli uni degli altri. Uomini contro donne, bianchi contro neri, italiani contro stranieri e varie divisione politiche e ideologiche: da ciò deriva nient’altro che una guerra tra poveri. La famiglia nucleare è soltanto una di quelle strutture divisorie: ci dice di fidarci dei nostri parenti e di diffidare sempre degli sconosciuti, facendoceli immaginare (e diventare) sempre come potenziali nemici. Ma le maggiori violenze, spesso taciute, avvengono tra le mura domestiche, a causa della privazione di ogni tipo di libertà e della nostra mentalità liberticida. Già l’anarchico Errico Malatesta, nel suo libro “Al caffè, discutendo di anarchia e di libertà”, scriveva:

“Noi che consideriamo la donna come un essere umano pari a noi, che deve godere di tutti i diritti e di tutti i mezzi di cui gode, o deve godere, il sesso maschile, noi troviamo semplicemente vuota di senso la domanda: che cosa farete delle donne? Domandate piuttosto: che cosa faranno le donne? Ed io vi risponderò che faranno quel che vorranno e che siccome esse hanno al pari degli uomini bisogno di vivere in società, è certo che vorranno accordarsi con i loro simili, maschi e femmine, per soddisfare ai loro bisogni col maggior vantaggio proprio e di tutti.  […] Credete che possa esistere davvero un amore schiavo? Esisterà la coabitazione forzata, l’amore finto per forza, per interesse o per convenienza sociale; magari vi saranno uomini e donne che rispetteranno il vincolo matrimoniale per convinzione religiosa o morale; ma l’amore vero non può esistere, non si concepisce, se non perfettamente libero[…] gli odi lungamente covati, i mariti che uccidono le mogli, le mogli che avvelenano i mariti, gl’infanticidi, i fanciulli cresciuti fra gli scandali e le risse familiari… è questa la morale che voi temete minacciata dalla libertà nell’amore? Oggi sì che il mondo è un lupanare, perché le donne son costrette spesso a prostituirsi per fame; e perché il matrimonio, sovente contratto per puro calcolo d’interesse, è sempre per tutta la sua durata un’unione in cui l’amore o non c’entra affatto, o c’entra solo come un accessorio. Assicurate a tutti i mezzi per vivere convenientemente ed indipendentemente, date alla donna libertà completa di disporre della sua persona, distruggete i pregiudizi, religiosi o altri, che vincolano uomini e donne ad una quantità di convenienze che derivano dalla schiavitù e la perpetuano — e le unioni sessuali saran fatte d’amore, dureranno tanto quanto dura l’amore, e non produrranno che la felicità degli individui ed il bene della specie. Noi vogliamo la libertà. […] Certamente, una volta eliminate le condizioni che oggi rendono artificiose e forzate le relazioni tra uomo e donna, si costituiranno un’igiene ed una morale sessuale che saranno rispettate, non per legge, ma per la convinzione, fondata sull’esperienza, che esse soddisfano al bene proprio e della specie. Ma questo non può essere che l’effetto della libertà”.

Bisogna dunque creare una “grande famiglia”, bisogna costruire una società basata sul mutuo appoggio e sulla libertà, sulla libera unione e priva di gerarchie. Se oggi esistono molti crimini e violenze non è perché il potere deve essere migliorato e riformato (non ci sono poteri buoni), ma proprio perché il potere esiste e soffoca i nostri bisogni e istinti naturali. Per questo il potere non può aiutare nessuno: per farlo dovrebbe autodistruggersi. E non lo farà mai.

“Difenditi e nessuno ti farà niente! Chi vuole spezzare la tua volontà, dovrà vedersela con te! È tuo nemico: trattalo come tale. Se dietro di te ci sono milioni di persone a difenderti, avrete una forza imponente e vincerete senza difficoltà”. *

(Max Stirner)

Movimento Anarchico Caudino

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Avvertenze per le autorità che, non avendo nulla di meglio da fare, incriminano i volantini e le parole: trascorrete un po’ del vostro tempo inutile a leggere questo articolo (dovete cliccare sulle parole in blu), scritto apposta per voi.

Consigli per le autorità: comprate un vocabolario o consultate internet per capire cosa vuol dire veramente “lotta”, “mutuo appoggio” e “azione diretta”, senza interpretare i termini come vi fa comodo soltanto perché dovete portare il pane a casa: siete anche voi vittime del sistema, solo che non lo sapete.

*Sempre le per le autorità: la frase di Stirner, in questo contesto, sta a significare che dobbiamo aiutarci a vicenda, ma forse non dovevo spiegarvelo.



TANTO PER INIZIARE: Programma del Movimento Anarchico Caudino

Astensionismo come segnale del rifiuto della delega e per un’autogestione.

Volantinaggi di sensibilizzazione per il nostro pensiero, le nostre idee e le nostre iniziative di lotte sociali.

Difesa dell’ambiente. Difesa degli animali.

Battaglie contro il sessismo, contro il razzismo e contro l’omofobia, contro il bullismo e ogni tipo di discriminazione e violenza. Non solo iniziative di sensibilizzazione, ma azione diretta e aiuto reciproco. 

Tutela dalla psichiatria e dai suoi abusi, lotta al TSO. La psichiatria sarà sostituita dal mutuo appoggio (aiuto reciproco).

Autogestione, autoproduzione e scambi per l’abolizione della schiavitù del lavoro salariato.

Cene sociali autogestite.

Assemblee per scambi di opinioni e confronti, proposte per le iniziative (Non avendo una sede, per il momento, gli incontri avverranno nelle abitazioni dei privati che vorranno ospitarci e aderire al movimento).

I compagni sono liberi di rifiutare ogni proposta e di proporre alternativa, in nome della libertà individuale.

Il Movimento Anarchico Caudino cerca collaborazioni di tutti i caudini e di tutti gli anarchici e le associazioni che vorranno supportarci, di tutti coloro che sono stanchi di essere presi in giro dai politici e dallo Stato.

Ovviamente si cerca anche l’importantissimo appoggio degli artisti e degli intellettuali per iniziative culturali e/o artistiche e convegni.

NON VOTARE MAI PIU’. D’ORA IN POI PENSA CON LA TUA TESTA. PER UN MONDO RESPONSABILE, LIBERO, GIUSTO E AUTOGESTITO.

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MOVIMENTO ANARCHICO CAUDINO

Furto, proprietà e legittima difesa

Che cos’è la proprietà?, si domandava Proudhon. La proprietà è un furto, si rispondeva. No, risponde Stirner, è contraddittorio: poiché il furto indica che la proprietà esiste.

Ma andiamo per logica, semplificando. Talvolta si sente dire “se la proprietà uno se l’è sudata, guadagnata, allora la proprietà è meritata, è sacrosanta”.

Ma cosa vuol dire guadagnarsi la proprietà? Vivete forse nell’illusione che lavorando onestamente a più non posso riuscirete ad ottenere pezzi di terra, spiagge, case e vivere di rendita? No. La ricchezza spesso è ereditaria o la si ottiene tutt’altro che lavorando onestamente. E come ha fatto il primo signore, il primo proprietario terriero ad ottenere la proprietà? Prendendosela! Semplicemente la proprietà l’ha guadagnata “allungando le mani” per dirla alla Stirner, “rubandola” per dirla alla Proudhon. Naturalmente, a chi l’hanno rubata? Alla Natura! E quindi a me, a te, a tutti. Come può, dunque, una cosa rubata alla natura, essere sacrosanta se la possiede una sola persona, quando dovrebbe appartenere alla collettività? La proprietà è contro natura, piuttosto.

Con questo cosa vogliamo dire? Che i ricchi debbano regalarci le loro proprietà, i loro soldi e dividerli con noi? Aspetta e spera! No! Che dovremmo prendercela o almeno sapere che avremmo tutto il diritto di prendercela, se volessimo. Che la proprietà non esiste. Che dovremmo smetterla di dar ragione a chi ammazza i ladri per difendere qualcosa che non è veramente suo e che, anche se così fosse, valgono forse gli oggetti più della vita delle persone? La difesa di se stessi dai malfattori è sacrosanta, non la proprietà come invece si sente ultimamente alla televisione da imprenditori che oltrepassano la difesa. Benché nessuno l’abbia ancora capita (e in certi casi, forse, proprio per questo), l’ultima legge approvata dal Salvini, ha incoraggiato la violenza. Molti lodano l’assassinio di un ladro, banalizzando così: “chi gli ha detto di andare a rubare?”

Nessuno, però, se lo chiede davvero. Altrimenti si darebbe una risposta, anziché utilizzare quella frase come una domanda retorica.

Chi gli ha detto davvero, di andare a rubare? Davvero lo volete sapere?

Lo Stato!

Poiché lo Stato non ti lascerebbe lavorare liberamente, se ad esempio volessi vendere ciò che produci (ammesso che tu ti possa permettere almeno questo) senza giri burocratici, senza tasse altissime che superano il guadagno.

E il capitalismo.

Il padrone che non lavora ma ordina, comanda, umilia, sfrutta l’operaio e guadagna più dell’operaio, ovvero colui che lavora.

Il padrone che tratta l’operaio come una macchina da produzione soltanto per i suoi profitti, soltanto per la sua avidità.

E voi chiedete sarcasticamente “chi glielo ha detto di fare il ladro?”

La risposta è sotto gli occhi di tutti: lo Stato e il capitalismo.

“Ma questi sono discorsi da fannulloni, tutti gli altri lavorano, sopportano tutto ciò”.

Chi vi dice che voi siate nella ragione? Che voi lo facciate, non vuol dire che sia giusto. Forse che lasciarsi umiliare e sfruttare, ammazzare dai prepotenti è giusto? E anche se lo fosse, non c’è posto per tutti e lavorare individualmente e liberamente è considerato lavoro nero: voi “persone oneste”, infatti vi indispettite, vi ingelosite, siete accecati dall’invidia e fate la spia anziché unirvi contro il nostro vero nemico comune: LO STATO, la gerarchia, la diseguaglianze. Ecco la causa dei furti e dei crimini: e voi credete che sia la soluzione e allora chiedete stupidamente più controlli, più carabinieri, più polizia, più mezzi per le cosiddette Forze “Dell’ordine” senza sapere che ciò vuol dire più tasse e quindi più povertà e allora più furti, più criminalità, più delinquenza e di nuovo voi chiederete ancora più stupidamente più controlli, più carabinieri, più polizia, più mezzi per le cosiddette Forze “Dell’ordine” senza sapere nemmeno stavolta che ciò vuol dire più tasse e quindi più povertà e allora più furti, più criminalità, più delinquenza e così via. Il proverbiale cane che si morde la coda. Tutti vogliono punire i criminali, nessuno ricerca la causa dei crimini. E la legittima difesa potrebbe diventare uno dei peggiori crimini legalizzati e autorizzati dallo Stato.

E sempre a favore dei ricchi e a discapito dei poveri.

E ancora tutti a dire che l’anarchia è sinonimo di caos, che senza lo Stato “ci sarebbe (ancora più) caos”. Per esempio, qui in Valle Caudina, spesso leggiamo sulle testate giornalistiche locali “anarchia e disprezzo delle regole”; “anarchia in campo” quando si parla di calcio ;“anarchia sull’asfalto” per indicare confusione, disordine, assenza di regole, caos. Il caos è quello che viviamo adesso e ci sembra che non sia così soltanto perché lo guardiamo al telegiornale mentre pranziamo tranquillamente seduti a tavola. L’idea secondo la quale con l’anarchia ci sarebbe più caos di adesso, è frutto del lavaggio del cervello da parte del sistema, dell’indottrinamento, del Pensiero Unico. Ma per fortuna non tutti ci sono cascati, nonostante tutto. Per questo, esistono gli anarchici.

Le gerarchie sono la vera causa del caos, non l’anarchia, che riporterebbe invece l’ordine naturale delle cose. Noi sogniamo una società orizzontale, egualitaria – non verticale e piramidale, nella quale invece ci saranno sempre crimini e sempre di più.

Movimento Anarchico Caudino

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Quando “il Cittadino” diviene un Governante (Daniele Lapenna)

Se, a governare una nazione, ci fossero degli individui considerati, da tutti, come i migliori, i più intelligenti, capaci, saggi, coraggiosi, più attivi, non si avrebbe, forse, una società migliore?

Questo interrogativo è stato posto da una gran mole di pensatori nel corso della storia tra i quali, restando non molto distanti dal nostro secolo, anche da Michail Aleksandrovic Bakunin, uno dei padri fondatori dell’ Anarchia.Bakunin si pose la domanda nel suo “La libertà degli uguali” (1873) e trovò la risposta che fu: “No, non è possibile“. E spiegò il perché.
I (PRE)SCELTI DAL POPOLOSe una parte della popolazione (in genere, la maggioranza di coloro che sono attivi nella vita politica della società, anche solo come elettori) riconoscesse un gruppo di persone come le migliori, come le più adatte a governare per via di certe qualità (tra le quali non vi è la loro posizione sociale), significa che già si sta dividendo la società in categorie. Suddivisione che andrebbe contro natura imposta da un gruppo di persone che è riuscita a convincere gli altri di essere i migliori. Ma andiamo avanti.
Queste persone, all’ inizio, quando ancora non sono governanti, si comporteranno come si comportavano prima, ovvero da normali cittadini quali sono, convincendo quelli che sono “rimasti fuori” che è bene affidarsi a loro. Ma, dopo esser saliti al potere, credendosi, appunto, i migliori, i prescelti dal popolo, coloro che dovranno dar voce ai cittadini, inizieranno a comportarsi esattamente come i governatori che li hanno preceduti. Se non peggio.La stessa cosa è avvenuta in Italia negli ultimi 6 anni. Bakunin l’ aveva previsto.
Bakunin prosegue scrivendo 

« Poiché [questi cittadini “migliori”] vengono dalla massa del popolo, dove si suppone siano tutti uguali, essi non costituiscono ancora una classe separata, ma un gruppo di uomini privilegiati soltanto dalla natura, e per questa sola ragione eletti dal popolo ».

E qui casca l’ asino: ecco dunque una società già divisa in due categorie, anche se non ancora in due classi.La prima fazione vede la maggioranza dei cittadini della nazione che, liberamente, si sottomette al governo che ha eletto, il governo dei “migliori elementi del popolo”. L’ altra è composta da questi “migliori”, riconosciuti e accettati dal popolo stesso, ai quali sarà affidato il compito di governare.
Questa parte sembra scritta nel 2013, ma invece è del 1873, dello stesso libro di Bakunin:

« Essi [i “migliori”] non richiedono ancora nessun privilegio, né speciali diritti, tranne quello di espletare, secondo la volontà popolare, le speciali funzioni loro affidate. Inoltre, essi non sono in alcun modo diversi dall’ altra gente » 

ma, come prosegue, questa uguaglianza avrà vita breve.

« Nulla è più pericoloso, per la moralità personale di un uomo, dell’ abitudine al comando. Gli uomini migliori e più intelligenti, privi di egoismo, generosi e puri, sempre e inevitabilmente saranno corrotti dall’ esercizio del potere »

è la spiegazione di Bakunin arrivando a sentenziare che, l’ esercizio di potere, non mancherà di produrre « disprezzo per le masse e, per l’ uomo che regge il potere, un esagerato senso del proprio valore ».
Ciò che penseranno questi “migliori” dopo esser saliti al potere sarà (testo preso, senza modifiche alcune, dal libro di Bakunin):

Le masse, nell’ ammettere la propria incapacità di governare se stesse, mi hanno eletto come loro capo. Nel far ciò hanno chiaramente proclamato la loro inferiorità e la mia superiorità. E in questa grande folla di uomini, tra i quali non riesco a trovare quasi nessuno che sia mio eguale, io sono il solo capace di amministrare gli affari pubblici; il popolo ha bisogno di me, non può andare avanti senza i miei servizi, mentro io basto a me stesso. Essi devono dunque obbedirmi per il loro bene, e io, degnandomi di comandarli, creo la loro felicità e il loro benessere“.

DA SEMPLICE CITTADINO A GOVERNANTESenza entrare nei particolari, penso che tutti noi abbiamo visto con il “governo dei cittadini” dove siamo andati a finire: abbiamo creato una classe di privilegiati che, anche violando la legge, sostiene di non aver violato nulla e persino di rivendicare i propri diritti.Questi “migliori” affermano di esser sempre dalla parte dei cittadini (tutti), che i cittadini vengono prima di tutto, sostengono di “lavorare” per il bene della nazione, che i cattivi sono sempre e solo gli altri (ma gli altri sono cattivi quanto loro, solo che hanno più esperienza in merito e riescono ad attuare iniziative malevoli senza farsi scoprire dal popolo) e che solo loro sono in grado di trovare la soluzione per aiutare tutti. Riescono anche a convincere di esser rimasti “semplici cittadini” com’ erano, e i loro seguaci ci credono pure, anche se le prove dicono il contrario.Ma il popolo ha fiducia in loro, e non può smettere di seguirli perché, seguendo la delusione e la realtà dei fatti, dall’ altro lato si troverebbe da un lato il precipizio e dall’ altro i vecchi governanti, creduti persino peggio del peggiore dei cittadini.
Il potere corrompe l’ animo umano. Il denaro inietta, nella mente, l’ idea di esser il padrone del popolo quando, nello stato di natura, un individuo ha, come padrone, solo sè stesso. Noi siamo padroni di noi stessi e nessuno, sottolineo, nessuno si dovrebbe arrogare il diritto di imporci cosa fare e cosa non fare. Un individuo sano mentalmente, consapevole, coscienzioso, umile e altruista, sa cosa sia giusto, sa cosa sia sbagliato, sa cosa non vuole facciano a lui, sa cosa sarebbe deplorevole fare agli altri.

Un individuo sano, e ben istruito, non causa guerre, non uccide, non depreda, non sottrae beni, non sfrutta le persone, non distrugge il luogo dove vive.

Un individuo sano non ha bisogno di padroni.

Un individuo sano è Anarchico.

Lapenna Daniele

Fonte: Lapenna Daniele Blog

L’Imposta: Mezzo per arricchire i ricchi (Kropotkin)

In un altro post abbiamo riportato il capitolo “L’imposta: mezzo per creare i poteri dello stato” tratto dal libro “L’anarchia e la scienza moderna” di Kropotkin. Oggi riportiamo il capitolo successivo ” L’imposta: mezzo per arricchire i ricchi”:


È così comoda l’imposta! Gli ingenui – i «cari cittadini» dei periodi elettorali – sono stati indotti a vedere nell’imposta il mezzo di compiere le grandi opere civilizzatrici, utili alla nazione. Ma i governi sanno perfettamente che l’imposta offre loro il più comodo mezzo per fare le grandi fortune a spese delle piccole, per impoverire le masse ed arricchire i pochi, per meglio assoggettare il contadino ed il proletario al fabbricante ed all’agiottatore, per incoraggiare una industria a profitto d’un’altra, e tutte le industrie in generale a spese dell’agricoltura e sopratutto del contadino o di tutta la
nazione. Se si tentasse di far votare domani alla Camera 50 milioni di lire a profitto dei grandi proprietari fondiari (come l’ha fatto Salisbury in Inghilterra, nel 1900, per ricompensare i suoi elettori conservatori), tutta la
Francia griderebbe come un sol uomo, ed il ministero sarebbe immediatamente rovesciato. Ebbene, per mezzo dell’imposta si fanno passare gli stessi cinquanta milioni dalle tasche dei poveri in quelle dei ricchi, quasi senza che quelli si accorgano del gioco. Nessuno grida, protesta, e lo stesso fine è raggiunto a meraviglia. La funzione dell’imposta non è neppure ben compresa da coloro stessi che fanno dello studio delle imposte la loro specialità.
È così semplice! Basta, per esempio, gravare di qualche centesimo addizionale il contadino, il suo cavallo, il suo carro o le sue finestre, per rovinare di colpo delle decine di migliaia di famiglie d’agricoltori.
Coloro che stentavano già tanto per cavarsela appena, coloro che il minimo urto poteva già rovinare e relegare nei ranghi del proletariato, sono schiacciati questa volta da una leggera addizione all’imposta. Essi vendono il loro pezzo di terra e se ne vanno verso la città, offrendo le loro braccia ai proprietari delle officine. Altri vendono il loro cavallo e si mettono a lavorare accanitamente colla vanga nella speranza di rifarsi. Ma un nuovo aumento d’imposta che si avrà certamente fra qualche anno, porterà loro il colpo di grazia; essi diventeranno proletari alla loro volta.
Questa proletarizzazione dei deboli fatta dallo Stato, dai governanti, avviene continuamente, d’anno in anno, senza far gettare alte grida a chicchessia, eccettuati i rovinati, la cui voce però non arriva alle orecchie del gran pubblico. Essa si è prodotta su grande scala durante questi ultimi quarant’anni in Russia, sopratutto nella Russia centrale, dove il sogno dei grandi industriali di creare un proletariato, si è realizzato alla sordina, precisamente per mezzo dell’imposta, mentre se si fosse cercato di rovinare qualche milione di contadini mediante la legge e con un sol tratto di penna, si avrebbero avute delle proteste generali, anche in Russia, sotto un governo assoluto. L’imposta ha compiuto poco a poco ciò che il legislatore non avrebbe osato fare apertamente.
Dopo ciò gli economisti che si qualificano di «scientifici», vengono a parlarci di leggi «stabilite», di sviluppo economico, di «fatalismo capitalista», della sua «negazione di sè stesso» – quando un semplice studio
delle imposte spiegherebbe da solo una buona metà di ciò che attribuiscono alla supposta fatalità delle leggi economiche. La rovina e l’espropriazione del contadino, come è stata compiuta in Inghilterra nel XVII secolo, e che Marx aveva chiamato per ciò «accumulazione capitalistica primitiva», continua anche ai giorni nostri, d’anno in anno, per mezzo dello strumento così facile dell’imposta.
Lungi dal crescere secondo le leggi immanenti di accrescimento interno, la forza del capitale sarebbe malamente paralizzata nella sua estensione, se non avesse al suo servizio lo Stato, che, da una parte, crea sempre dei nuovi monopolii (miniere, ferrovie, acqua potabile, telefoni, misure contro le associazioni operaie, azione contro gli scioperanti, educazione privilegiata,
ecc., ecc.) e, dall’altra, edifica le fortune e rovina la massa dei lavoratori per mezzo dell’imposta.

Se il capitalismo ha aiutato a creare lo Stato moderno, è pure, non dimentichiamolo, lo Stato moderno che crea e nutrisce il capitalismo.
Adamo Smith, nel secolo passato, aveva già segnalato questa potenza dell’imposta; ma lo studio, di cui aveva indicato le grandi linee, non fu proseguito, e per dimostrare oggi questa potenza dell’imposta, bisognerà
trovare i nostri esempi un po’ dappertutto.

Così, prendiamo l’imposta fondiaria, che è una delle armi più potenti in mano dello Stato. L’ottavo rapporto dell’Ufficio del lavoro dello Stato d’Illinois offre una gran copia di prove per dimostrare come – anche in uno
Stato democratico – delle fortune di milionari furono fatte, semplicemente per il modo con cui lo Stato tassava la proprietà fondiaria a Chicago.
Questa vasta città si è ingrandita a sbalzi, raggiungendo la cifra di 1.500.000 abitanti in cinquanta anni. Ebbene, colpendo d’imposta la proprietà fabbricata, mentre la proprietà non fabbricata, anche nelle vie più centrali della città, non era tassata che leggermente, lo Stato creò delle fortune di milionari.
Dei pezzetti di terra nella tale grande via, che valevano, cinquant’anni fa, 6.000 lire il decimo di ettaro, hanno raggiunto oggi il valore di 5.000.000 a 6.000.000 di lire.
È ben evidente che se l’imposta fosse stata «metrica», cioè per metro quadrato, con o senza fabbricato, o se la terra fosse stata municipalizzata, giammai simili fortune avrebbero potuto accumularsi. La città avrebbe
approfittato dell’accrescimento della popolazione, sgravando di altrettanto le case abitate dagli operai. Mentre, al contrario, poichè sono le case a sei e a dieci piani che sopportano il grosso delle imposte, l’operaio è obbligato a lavorare per permettere ai ricchi di diventare ancor più ricchi. In compenso poi, è costretto ad abitare in tuguri malsani, che, lo si sa abbastanza, arrestano perfino lo sviluppo intellettuale della classe che li abita, per lasciarla meglio in balia del fabbricante. L’Eighth Biennal Report of the Bureau of Labor Statistics of Illinois Taxation, 1894, è pieno di notizie
interessantissime a questo riguardo.
Oppure, prendiamo l’arsenale inglese di Woolwich. Un tempo, le terre sulle quali si è allargata la città di Woolwich, non erano che una garenna abitata da conigli. Dopo che lo Stato vi ha costruito il suo grande arsenale, Woolwich ed i comuni vicini sono diventata una città popolosa, dove 20.000 uomini lavorano nelle officine dello Stato per fabbricare degli arnesi di
distruzione. Un giorno, nel giugno 1899, un deputato domandò al governo di aumentare i salari degli operai. «E perché?», rispose l’economista ministro Goschen. «Sarebbe tutto assorbito dai proprietari fondiari!… Durante questi ultimi dieci anni i salari sono cresciuti del 20 per cento.
L’aumento dei salari (cito verbalmente) non ha avuto altro effetto che di far intascare una più forte somma dai proprietari fondiarii» (già milionari). L’argomento del ministro era evidentemente specioso, ma il fatto che i
milionari assorbono la maggior parte degli aumenti di salario merita di essere rilevato. Ed è perfettamente esatto.
D’altra parte, ad ogni momento, agli abitanti di Woolwich, come a quelli di tutte le grandi città, viene intimato di raddoppiare e triplicare le imposte per fogne, canali e selciati della città, che da infetta è diventata oggi salubre. E, grazie al sistema d’imposta fondiaria e di proprietà in vigore, tutte queste somme hanno servito ad arricchire di altrettanto i proprietari fondiari.
«Costoro rivendono al minuto ai contribuenti i benefici che essi hanno intascato dai miglioramenti sanitari, pagati da questi stessi contribuenti», dice, ed è perfettamente vero, il giornale dei cooperatori di Woolwich, Comradeship.
Non è tutto. Si costruisce a Woolwich una chiatta a vapore per traversare il Tamigi e legare Woolwich con Londra. Dapprima era un monopolio che il Parlamento creava a favore di un capitalista, autorizzandolo a stabilire una comunicazione mediante la chiatta a vapore. Poi, dopo un certo tempo, siccome il monopolista faceva pagare troppo caro il passaggio, la municipalità riscattò al monopolista la concessione avuta.

Il tutto costò ai contribuenti 5.500.000 lire in otto anni. Ma allora, ecco un piccolo pezzo di terra, in vicinanza della chiatta, aumentare il valore di 75.000 lire, che evidentemente sono intascate dal proprietario
fondiario.

E poiché questo pezzo di terra continuerà sempre a rincarare, un nuovo monopolio viene stabilito, un nuovo capitalista è aggiunto alla legione degli altri, già creati dallo Stato inglese.
Ma ecco che i lavoratori delle officine dello Stato di Woolwich finiscono per costituire un sindacato, ed a forza di lotte riescono a mantenere i loro salari ad unlivello più alto che in altre officine dello stesso genere.
Essi fondano anche una cooperativa e diminuiscono così di un quarto le loro spese di mantenimento, eppure, «la migliore parte della messe» va ancora ai signori!
Quando uno di questi si decide a vendere un pezzo dei suoi terreni, il suo agente pubblica testualmente nei giornali locali: «Gli alti salari pagati dall’arsenale agli operai, grazie ai loro sindacati, e l’esistenza a Woolwich
di una cooperativa prospera, rendono questo terreno eminentemente adatto per costruire delle case operaie».
Ciò che vuol dire: «Voi potete pagar caro questo pezzo di terra, signori costruttori delle case operaie.

Voi vi rifarete largamente e facilmente sugli affitti». E si paga, si acquista per costruire, si costruisce, per ripagarsi più tardi sull’operaio.
Ma ciò non è tutto. Ecco che malgrado difficoltà inaudite e un lavoro enorme, alcuni entusiasti riescono a fondare in questa stessa Woolwich una città cooperativa di casette operaie. Il terreno viene comperato e quindi prosciugato, spianato, canalizzato e solcato di vie da una cooperativa. Le varie parcelle sono poi vendute agli operai, che, sempre grazie alla cooperativa, possono costruire a buon mercato le loro casette. I fondatori si
rallegrano, è un successo completo, ed essi cercano a quali condizioni potrebbero comperare un ettaro vicino di terreno per ingrandire la loro città cooperativa. Essi avevano pagato il loro terreno in ragione di 37.500 lire l’ettaro (500 sterline l’acro); ora si chiedono loro 75.000 lire per l’ettaro vicino. Perché? «Ma, signori, la vostra città progredisce benissimo, è dessa che ha raddoppiato il valore di questo terreno».
Perfettamente! Poiché lo Stato ha costituito e mantiene il monopolio fondiario in favore del Signor Tale, è per arricchire questo signore e rendere l’estensione della loro città operaia impossibile, che essi
hanno lavorato.
«Viva lo Stato!»
«Lavora per noi, povero animale, che credi di migliorare la tua sorte con delle cooperative, senza osare di toccare nello stesso tempo alla proprietà,
all’imposta, allo Stato!»
Ma senza andare a Chicago o a Woolwich, non vediamo noi in ogni grande città, come lo Stato, solamente col colpire d’un’imposta ben più elevata la
casa a sei piani, abitata da operai, che non il palazzo privato del ricco, stabilisce un privilegio formidabile in favore di quest’ultimo? Gli permette d’intascare il plusvalore dato alla sua proprietà dall’ingrandimento e dall’abbellimento della città – e sopratutto dalla casa a sei piani, dove brulica la miseria che abbellisce la città con dei salari da mendicanti!
E ci si stupisce che le città ingrandiscano così rapidamente a detrimento delle campagne. Non si vuol vedere che tutta la politica finanziaria del XIX secolo, è stata volta a gravare l’agricoltore – il vero produttore, poiché egli riesce ad ottenere dal suolo tre, quattro, dieci volte più di prima – in favore delle città, cioè dei banchieri, degli avvocati, dei commercianti e di tutta la
banda dei gaudenti e dei governanti.
E non ci si dica che questa creazione del monopolio in favore dei ricchi non sia l’essenza stessa dello Stato moderno e delle simpatie che gode fra i ricchi e coloro che sono stati educati dalle scuole dello Stato. Ecco un
buon esempio recente dell’uso delle imposte in Africa. Si sa che l’obbiettivo principale della guerra dell’Inghilterra contro i boeri fu quello di abolire la
legge boera, che non permetteva di obbligare i negri a lavorare nelle miniere d’oro.

Le Compagnie inglesi fondate per lo sfruttamento di queste miniere non ne
ritraevano i benefici sui quali contavano.

Ed ecco ciò che il conte Grey ebbe a dire al Parlamento: «Voi dovete abbandonare per sempre l’idea di sviluppare le vostre miniere col lavoro dei bianchi. Bisogna trovare i mezzi per condurvi i negri… Ciò si potrebbe fare, per esempio, per mezzo di un’imposta di 25 lire per capanna di negri, come noi già lo facciamo al Basutoland, ed anche con una piccola imposta del lavoro (18 lire), prelevata su quei negri che non produrranno un certificato di avere lavorato quattro mesi (all’anno) presso bianchi»
(Hobson, The War in South Africa, p. 234).
Così la servitù che non si osava introdurre apertamente, s’introduceva per mezzo dell’imposta.

Supponete ogni miserabile capanna colpita da 25 lire d’imposta, e la servitù è stabilita! Rudd, l’agente di Rhodes, metteva i punti sugli i, scrivendo: «Se col pretesto della civiltà, noi abbiamo sterminato da 10.000 a 20.000 dervisci coi nostri cannoni Maxim, certamente non sarà una violenza forzare gl’indigeni dell’Africa del Sud a dare tre mesi dell’anno ad un lavoro onesto».
Sempre i due o tre giorni alla settimana! di lì non si esce. Quanto a pagare il «lavoro onesto», Rudd si esprimeva così: 60 o 70 lire al mese, è fare del
«morbido sentimentalismo». Il quarto sarebbe largamente sufficiente (Ibid., pag. 235). Così il negro non si arricchirà e resterà servo. Bisogna prendergli con l’imposta ciò che guadagna come salario; bisogna che
non possa riposarsi. Ed infatti, dopo che gli inglesi sono diventati padroni
del Transvaal, e dei «negri», l’estrazione dell’oro è salita da 313 milioni a 875 milioni di lire. Circa 200.000 «negri» sono costretti a lavorare ora nelle miniere per arricchire le compagnie che furono le cause prime della
guerra.
Ma ciò che gli inglesi fecero in Africa per ridurre i negri alla miseria e imporre loro il lavoro forzato, lo Stato l’ha fatto per tre secoli in Europa coi contadini, e lo fa ancora per imporre il lavoro forzato agli operai
della città.
E gli universitari ci parlano delle «leggi immutabili» dell’Economia politica!

Restando sempre nel dominio della storia recente, si potrebbe raccontare un altro colpo ben preparato col mezzo dell’imposta. Si potrebbe intitolarlo: «Come il Governo Britannico abbia tolto 4.600.000 lire alla nazione, per darle ai grossi Mercanti di Tè – farsa in un atto». Sabato 3 marzo 1909, si veniva a sapere a Londra che il governo avrebbe aumentato di due pence (20 centesimi) per libbra (450 grammi) il dazio sul tè.
Subito, sabato e lunedì, 22.000.000 di libbre di tè, che erano in dogana a Londra in attesa del pagamento della tassa, furono ritirate dai negozianti, pagando la vecchia imposta, e martedì il prezzo del tè nei magazzini di
Londra veniva dappertutto aumentato di due pence. Se noi non contiamo che i 22.000.000 di libbre di tè ritirate sabato e lunedì, abbiamo già un beneficio netto di 44.000.000 di pence, ossia di 4.583.000 lire, tolte dalle
tasche dei contribuenti e date ai negozianti di tè. Ma la stessa manovra fu fatta in tutte le altre dogane, a Liverpool, in Iscozia, ecc., senza contare il tè uscito di dogana, prima che fosse stato notificato l’aumento della
tassa.

Sono dunque una dozzina di milioni regalati dallo
Stato a quei signori.
La stessa cosa per il tabacco, la birra, l’acquavite, i vini, ed ecco i ricchi arricchiti di circa 25 milioni presi ai poveri! Dunque: «Viva l’imposta! Viva lo Stato».
E voi, figli dei poveri, imparate alla scuola primaria (i figli dei ricchi impareranno ben altro all’università), che l’imposta è stata creata per permettere a quei poveri cari campagnuoli di non aver più le corvées, sostituendole con un piccolo versamento annuale nelle casse dello
Stato. E dite a vostra madre, curva sotto il peso degli anni di lavoro e d’economia domestica, che vi si insegna così una gran bella scienza: l’economia politica!


Consideriamo, infatti, l’istruzione. Noi abbiamo progredito assai dall’epoca in cui il comune trovava egli stesso e una casa per la scuola, e l’istitutore. Allora, il saggio, il fisico, il filosofo si attorniavano di allievi volontari, a cui trasmettevano i segreti della loro scienza o della loro filosofia. Oggi noi abbiamo la cosidetta educazione gratuita, fornita a nostro spese dallo Stato;
noi abbiamo i licei, le università, l’Accademia, le società scientifiche sovvenzionate, le missioni scientifiche, e che so io.
Poiché lo Stato non domanda di meglio che di allargare la sfera delle sue attribuzioni, ed i cittadini non chiedono altro che di essere dispensati dal pensare agli affari d’interesse generale – di «emanciparsi» dai loro
concittadini, abbandonando gli affari comuni ad un terzo – tutto s’aggiusta a meraviglia.
«L’istruzione?» dice lo Stato, «son ben felice, signori e signore, di darla ai vostri figli! Per alleggerire le vostre cure, vi proibiremo financo d’occuparvi voi stessi d’educazione. Noi redigeremo i programmi, che non ammettono critica, ben inteso! Dapprima, noi abbrutiremo i vostri fanciulli con lo studio delle lingue morte e delle virtù della legge romana. Ciò li renderà
docili e sottomessi. In seguito, per togliere loro ogni velleità di rivolta, insegneremo loro le virtù dello Stato e dei governi, ed il disprezzo dei governati. Faremo loro credere che, avendo appreso il latino, diventano il sale della terra, il lievito di ogni progresso; che senza di loro
l’umanità perirebbe.

Ciò vi lusinga; in quanto ad essi, se ne convincono a meraviglia e diventano vanitosi in sommo grado. È quel che ci vuole. Noi insegniamo loro che la miseria delle masse è una «legge di natura», e saranno incantati d’impararlo e di ripeterlo. Modificando però l’insegnamento secondo il gusto variabile delle epoche, diremo loro che, sia per la volontà di Dio, sia per una «legge di bronzo», l’operaio impoverirebbe non appena cominciasse a star bene, poichè nella sua agiatezza si scorderebbe al punto d’avere dei figli. Tutta l’educazione avrà per iscopo di far credere ai vostri
ragazzi che fuori dello Stato Provvidenziale, non vi è salute! E voi applaudirete, non è vero?
«Poi, dopo aver fatto pagare dal popolo le spese di tutta l’istruzione, primaria, secondaria, universitaria e accademica, faremo in modo di serbare le parti migliori della torta del bilancio pei figli dei borghesi. E il
popolo, cotanto buono, inorgogliendosi delle sue università e dei suoi scienziati, non s’accorgerà nemmeno come noi erigeremo il governo in monopolio per coloro che possono pagarsi il lusso dei licei e delle università pei loro figli. Se noi dicessimo ai poveri di punto in bianco: Voi sarete governati, giudicati, accusati e difesi, educati ed abbrutiti dai ricchi nell’interesse dei ricchi, essi si rivolterebbero senza dubbio.

È evidente! Ma con l’imposta e qualche buona legge, ben «liberale», dicendo per esempio che bisogna avere subìto venti esami per essere ammessi all’alta funzione di giudice o di ministro, il popolo, buona pasta, troverà tutto ben naturale.
Ed ecco come, per successione di cose, quel governo del popolo, a mezzo di signori e ricchi borghesi, contro il quale il popolo si rivoltava un tempo, quando lo vedeva in faccia, si trova ora ricostituito sotto un’altra
forma, con l’assentimento e quasi con le acclamazioni del popolo, travestito dall’imposta!
Non parliamo dell’imposta militare, perché su di essa ciascuno dovrebbe già sapere che pensare. Quando mai l’esercito permanente non è stato il mezzo per tenere il popolo in schiavitù? e quando mai un esercito regolare
ha potuto conquistare un paese se urtava contro un popolo in arme?
Ma, prendete un’imposta qualunque, diretta o indiretta, sulla terra, sul reddito o sul consumo, per contrattare dei debiti di Stato, o col pretesto di pagarli (poiché essi non lo sono mai); prendete l’imposta per la guerra o per l’istruzione pubblica, analizzatela, guardate a che vi conduce da ultimo, e rimarrete stupiti dalla forza immensa, dall’onnipotenza da noi consentita ai
nostri governanti.

L’imposta è la forma più comoda pei ricchi per tenere il popolo nella miseria. Esso è il mezzo per rovinare delle classi intiere di agricoltori e di operai dell’industria, man mano che arrivano dopo una serie inaudita di sforzi ad accrescere un poco il loro benessere. Essa è nello stesso tempo lo strumento più comodo per fare del governo un eterno monopolio dei
ricchi.

Infine, permette sotto differenti pretesti di fabbricare le armi che serviranno un giorno a schiacciare il popolo, se si rivolterà.
Piovra dalle mille teste e dai mille tentacoli, come i mostri marini dei vecchi racconti, essa permette di avvolgere tutta la società e di canalizzare tutti gli sforzi individuali per farli convergere all’arricchimento ed al
monopolio governativo delle classi privilegiate.
E finchè lo Stato, armato dell’imposta, continuerà ad esistere, l’emancipazione del proletariato non potrà compiersi in alcun modo: né per la via delle riforme e neppure con la rivoluzione. Perché se la rivoluzione non schiaccia questa piovra, se non taglia le sue teste ed i suoi tentacoli, sarà strangolata dalla mala bestia. La rivoluzione stessa sarà messa a servizio del monopolio, come avvenne per la rivoluzione del 1793.


(Pietr A. Kropotkin)