Siamo noi a crollare, non il sistema (Riflessioni di un anarchico sul periodo covid19)

A distanza di quattro mesi, sento il bisogno di rivedere leggermente il mio articolo “L’anarchia nel periodo del coronavirus” (così come la lettera ai giovani pubblicata su Il Caudino). Avevo scritto frasi del tipo “proprio ora vi viene in mente di ribellarvi?”, considerando che anche io credevo all’emergenza pandemia. Anche io avevo creduto che il lockdown, almeno per un mese, potesse essere utile. Ero arrivato addirittura a pensare – e con me tanti altri anarchici – che tutto sommato, lo Stato, per quanto malvagio, in certi casi potesse davvero fare gli interessi del popolo. Ci ho creduto per una settimana. Poi ho cominciato a pensare. La paura prodotta dal terrorismo mediatico ci aveva fatto dimenticare che “di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno”. Sedicenti anarchici sono arrivati a giustificare la violenza degli sbirri e ad augurarne di più a chi non si atteneva alle direttive, “perché la gente è troppo stupida e irresponsabile”. Taluni hanno perso fiducia nell’anarchia, “perché il coronavirus ha dimostrato che la gente non si sa autogestire”. Abbiamo dimenticato in un lampo tutti i discorsi contro il paternalismo, sull’autodeterminazione. E questo perché? Perché il potere questa volta ha giocato sulla nostra paura di morire, utilizzando i suoi mezzi di propaganda e di manipolazione. Avevo scritto nel mio articolo “non conta se è tutto vero o solo una farsa, rispettiamo le regole per non far vincere lo stato di polizia”. Credevo ingenuamente che, infrangendo le regole, il governo avrebbe messo più restrizioni e invece lo stato di polizia vinse proprio perché abbiamo obbedito.

Ora è giunto il momento di riflettere per bene su ciò che è successo. A coloro che, ancora una volta, vorranno utilizzare l’esperienza covid19 per dimostrare l’irresponsabilità dei cittadini e quindi la necessità della gerarchia, rispondo così: voi sostenete che l’anarchia funzionerebbe solo se la gente avesse buon senso e fosse responsabile, quindi siete convinti che tutto ciò che ci viene imposto dal potere equivalga a buon senso e responsabilità. E perché? Solo per il fatto stesso che ci viene imposto? Forse che chi comanda ha la verità assoluta in tasca? Quando lo capirete che chi si arroga il diritto di fare leggi per tutti è solo arrogante e non certo un luminare? Per l’anarchia ci vuole il buon senso, dite. E per governare invece?
Chi ha buon senso non comanda e non si fa sottomettere, chi ha buon senso combatte le ingiustizie e difende gli oppressi e la Natura: tutto il contrario di ciò che fa il sistema.
Chi ha buon senso non governa.

Voi invece date per scontato che il sistema sia composto da persone illuminate, da una sorta di divinità e non da persone comuni come noi che, però, hanno la presunzione di stabilire leggi che secondo loro possano valere per tutti.

Quando non si rispettano le leggi scritte e quelle che vengono considerate “regole del buon senso”, lo schiavo del sistema vorrebbe con ciò dimostrare che l’autogestione (l’anarchia) è impossibile. A questi chiedo: ci avete mai pensato che se non tutti rispettano le leggi/regole, è perché sono sbagliate e non possono valere per tutti?
Del resto, la giustizia universale non esiste: per me la giustizia potrebbe essere quando nessuno impone le sue regole e le sue idee agli altri, ma evidentemente vi sono persone che non la pensano così, altrimenti non proverebbero a imporci le loro idee, avendo una visione diversa della giustizia.
Dovremmo soltanto vederne gli effetti: che effetti provoca l’imposizione delle proprie idee su tutti gli individui?
Effetti negativi. E di certo non è inasprendo le leggi che si risolveranno le cose (gli incendi non si spengono aumentando le dosi di benzina che ci versiamo sopra) ma lasciando a ogni individuo la propria responsabilità, perché ognuno di noi possiede l’istinto naturale che gli fa capire, senza bisogno di autorità, che cosa è meglio per se stessi.

Nel caso del covid19, dovremmo ricordarci che la scienza non è un pensiero unico e che essa si basa su varie teorie e vari pensieri di scienziati che la pensano diversamente e contrastano tra loro. Quando un gruppo di persone – che siano scienziati, religiosi, politici o qualsiasi altra categoria – pretende di conoscere la verità assoluta e di imporla a tutti (e con misure autoritarie) zittendo chi la pensa diversamente, siamo in pericolo e dobbiamo difenderci. Mentre gli altri, dunque, vorrebbero utilizzare l’esempio del covid19 per dimostrare la necessità del sistema, io sono ancora più convinto che l’unica soluzione sia l’anarchia.

Già Mikhail A. Bakunin in “Dio e lo Stato” scriveva:

“Per ogni scienza speciale mi rivolgo a chi ne ha pratica. Ma non mi lascio imporre né il calzolaio né l’architetto né il sapiente: io li accetto liberamente e con tutto il rispetto che meritano le loro intelligenze, il loro carattere, il loro sapere, riservandomi sempre il mio diritto incontestabile di critica e di controllo. Non mi accontento di consultare una sola autorità specialistica, ma ne consulto parecchie; confronto le loro opinioni e scelgo quella che mi pare la più giusta. Ma non riconosco alcuna autorità infallibile, neppure nelle questioni speciali; di conseguenza, per quanto rispetto possa io avere verso l’umanità e la sincerità del tale o tal’altro individuo, non ho fede assoluta in alcuno. Una tale fede sarebbe fatale alla mia ragione, alla mia libertà, ed all’esito stesso del mio operare; essa mi trasformerebbe immediatamente in uno schiavo stupido, in uno strumento della volontà e degli interessi altrui.
Se mi inchino davanti all’autorità degli specialisti, e mi dichiaro pronto a seguirne, dentro un certo limite e durante tutto il tempo che mi pare necessario, le indicazioni e anche la direzione, è perché questa autorità non mi è imposta da alcuno, né dagli uomini né da Dio.
Altrimenti la respingerei con orrore, e manderei al diavolo i loro consigli, la loro direzione, i loro servizi, avendo la certezza che essi mi farebbero pagare, con la perdita della mia libertà e della mia dignità, le briciole di verità, avviluppate di molte menzogne, ch’essi potrebbero darmi”.

Io non so se, come dice Enrico Manicardi (il cui sito vi invito a visitare per leggere le sue riflessioni https://www.enricomanicardi.it/), siano state “prove tecniche di soggezione” o sia semplicemente una questione di mentalità autoritaria, e cioè che certe persone credano davvero di conoscere la verità e che vada necessariamente imposta a chi non obbedisce.

Certo è che c’è stata repressione, ma saranno state prove tecniche di soggezione o semplicemente mentalità autoritaria e incompetenza?

In molti, io compreso – pur restando con molti dubbi – abbiamo sostenuto che si sia trattato di prove tecniche di soggezione e/o di dittatura e molti di noi, per questo, sono stati tacciati di “complottismo” (ormai chiunque dubiti del pensiero unico dominante viene messo nello stesso calderone dei complottisti).
Io però non escludo l’ipotesi che sia semplicemente una questione di mentalità autoritaria: se all’arroganza si aggiunge l’incompetenza, siamo messi ancora peggio.
La mentalità che impera nel nostro mondo è che, come dicevamo, ci sarebbero taluni elementi che credono di avere in mano la verità assoluta da dover imporre a tutti gli altri che questi ritengono dei deficienti, dei bambini irresponsabili (brutto modo di dire: dovremmo imparare molto dai bambini) da trattare come tali. E ahimè, molti di questi ultimi si comportano davvero come se avessero bisogno di un paparino che gli dica persino quando andare al cesso (perché è così che ci è stato insegnato a fare) o che ci dica quando soffiarci il naso come ne I Malavoglia di Giovanni Verga.
Noi sappiamo che le nostre idee non possiamo imporle a tutti (possiamo casomai proporle) perché ogni individuo è diverso e non tutti abbiamo gli stessi bisogni. Se vengono fatte delle leggi (anche se in buona fede) e non tutti le rispettano, vuol dire che quelle leggi/regole sono sbagliate o che, per qualche motivo che bisognerebbe approfondire, non possono essere rispettate da tutti.
Il Sistema però non funziona in questo modo, non gli interessa di andare a indagare le radici dei problemi. Gli interessa soltanto dire “noi abbiamo capito, voi no, noi siamo il potere, voi no e dunque noi diamo gli ordini, voi obbedite e se non obbedite, sarete puniti”.
Al Sistema non interessa – forse neanche ci arriva a certa mentalità – che le persone muoiano per l’inquinamento, per errori medici, per i tagli alla sanità. Forse per il Sistema è più comodo, non dico “far credere”, ma semplicemente CREDERE che la colpa sia di un virus innocuo o comunque non così pericoloso com’è stato descritto.
Ciò che è stato fatto in Italia dal governo, forse, è paragonabile a una nonna rimbecillita che crede di proteggere i nipoti chiudendoli dentro per paura del freddo per il quale potrebbero prendere l’influenza, quando in realtà potrebbe semplicemente coprirli di più, farli mangiare meglio e abituarli alla temperatura dell’ambiente e insegnar loro uno stile di vita più sano.
Bisognerebbe quindi esaminare tutte le misure stupide e insensate che ha preso il governo (e non solo) in questo periodo:

1) La mascherina all’inizio non era obbligatoria ed era addirittura sconsigliata. Anche in tv veniva specificato che serviva soltanto agli ammalati e ai medici. Quando la gente ha cominciato a indossarla e a guardar male chi non la indossava, è diventata obbligatoria. Stessa cosa per i guanti (che adesso invece cominciano addirittura a essere proibiti).

2) Chiudere tutto…o quasi, perché altrimenti si ferma l’economia e il sistema crolla. Si poteva uscire soltanto per “beni di prima necessità” (e che cosa ne sa uno sbirro, un politico, un medico delle prime necessità di ognuno di noi? Per me la necessità era la passeggiata, ma non era considerata tale).

3) Proibire di uscire e/o fare “assembramenti” (controllate sul dizionario il vero significato di questa parola e rabbrividite), tranne se dovete andare a fare la spesa, andare alle poste o a lavorare. Forse in quei luoghi il virus penserà che, essendo sono necessità consentite dal governo, non potrà attaccare nessuno. Quanto è comprensivo questo virus! Sensatissimo: io non posso uscire da solo a fare una passeggiata (magari con il mio cane) o a correre da solo ma posso fare “assembramento”(avete controllato il vero significato del termine?) nei suddetti luoghi.

4) Censurare e/o denunciare medici e scienziati dal pensiero diverso da quello unico dominante anziché invitarli a un confronto. Il Patto degli Inquisitori della Scienza ha deciso “noi siamo la verità (anche se ci siamo contraddetti fin dall’inizio) e tutti gli altri devono stare zitti”.

Io penso – pur rimanendo con i miei dubbi – che questi non abbiano “voluto far credere” che la maggior parte delle persone siano morte PER il coronavirus e non semplicemente CON il coronavirus, ma che lo credano davvero e che probabilmente non conoscano nemmeno la differenza. Così come non abbiano “voluto far credere” l’assurdità che gli asintomatici possano trasmettere malattie, ma che lo credano davvero.
E forse chissà, anche la questione dei vaccini: non si sono inventati la pandemia per vendere i vaccini, ma credono davvero che ci sia stata una pandemia e che la soluzione sia nei vaccini.
Stessa cosa riguardo le mascherine: non vogliono far credere che siano necessarie, forse credono davvero che siano necessarie e che dunque vadano imposte.
Chiaramente, nella mentalità di questo mondo c’è anche sempre l’economia (che a differenza di come dicono in molti, non si è mai fermata: al massimo crolliamo noi, non il sistema) e se ne sono approfittati i venditori di mascherine, di Amuchina, di guanti e ora vogliono approfittarsi anche i “venditori di vaccini”.
Questa rimane solo UNA delle mie tante riflessioni (io, a differenza loro, SO di non avere la verità assoluta in mano) perché – magari sarò ingenuo e mi sbaglio – non riesco a vedere intelligenza e lungimiranza nel potere. Ma una cosa è certa: la repressione c’è stata e non può essere giustificata per alcun motivo.
E tutto questo lo permettiamo noi, ipnotizzati e manipolati dai mass media e dalla mentalità secondo la quale chi ha autorità ha necessariamente autorevolezza. Come appunto ci ricorda Bakunin poi, neanche chi ha autorevolezza deve imporci in alcun modo le sue idee.

Io so solo, e lo ribadisco, che il problema è sempre il potere: senza di esso, non ci sarebbero né complottisti né complotti ; senza il potere sapremmo da soli quando c’è davvero un problema, non tramite la televisione e i media di regime, ma grazie all’autogestione e all’autodeterminazione, grazie al nostro intuito, grazie a ciò che vediamo con i nostri occhi, e grazie alle nostre capacità naturali. Io so soltanto che quest’esperienza ci ha distrutti psicologicamente e rintontiti (vedo ancora gente con la mascherina e i guanti all’aperto, anche da sola, benché non siano più obbligatori). So soltanto che siamo stati messi ancora di più gli uni contro gli altri e vediamo, ancora più di prima, il nostro prossimo come un nemico. Come al solito, è sempre più facile aggredire chi osa mettere in discussione le misure del governo e l’informazione di regime piuttosto che sforzarsi di pensare con la propria testa e ribellarsi contro il potere. Molto più semplice metterci nello stesso calderone dei complottisti, dei bufalari e dei terrapiattisti, anziché cercare di informarsi da varie fonti e cercare di capire cosa sta succedendo davvero, anziché chiedersi se “i terrapiattisti” non siate voi (ai tempi di Galilelo Galilei, era la maggioranza a credere la Terra fosse piatta).

Ancora molti, anche tra compagni anarchici, mi dicono “al sistema non converrebbe fingere una pandemia mettendo a rischio l’economia, quindi se stesso”. Credo che bisognerebbe riflettere bene sul perché questa è una sciocchezza. La produzione non si è mai fermata del tutto, anzi. Il rischio di fallire era per operai, piccoli imprenditori e vari lavoratori precari. Non di certo le grandi aziende, non di certo le industrie (vi rammento che si poteva uscire solo per fare la spesa o andare alle poste, in banca oppure si poteva ordinare tutto da internet). E anche se fosse, il sistema trova sempre il modo per sopravvivere e riorganizzarsi, grazie a noi che ci lasciamo comandare e ci sorbiamo le loro bugie. Dare la colpa al virus delle tante morti che ci sono state sembra anzi proprio una bella scusa per non mettere in discussione il sistema stesso: se si fosse parlato di tagli alla sanità, del nostro stile di vita, a cominciare da quello alimentare, se si fossero messe in discussione le opere inutili che danneggiano l’ambiente e provocano malattie mortali, allora sì che si sarebbe dato un bel colpo al capitalismo, all’economia e in generale al sistema. Siamo noi a crollare, non il sistema. Il sistema non crolla da sé.

Intanto si costituiscono movimenti alternativi che, se dovessero andare al governo, ci imporrebbero una nuova dittatura di colore diverso. Lo abbiamo ribadito più volte con De André : “non ci sono poteri buoni” né crediamo alla farsa marxista-leninista, rivelatasi sempre fallimentare. L’unica soluzione sarebbe la totale eliminazione dell’intero sistema. Purtroppo, però, come diceva il giovane anarchico Bruno Filippi, siamo circondati da “cani che leccano la mano di chi li batte”, mentre noi dovremmo essere come quelle tigri che, stanche della violenza della domesticazione, si ribellarono al loro domatore. E dovremmo, insieme, impedire che in seguito ci abbattano.

Dovremmo capire che contro i padroni bisogna ribellarsi, capire che sono nostri nemici, non nostri protettori, non dei bravi papà che si prendono cura di noi.

In Italia e in vari luoghi del mondo esistono delle piccole realtà completamente autogestite, alcuni gruppi si stanno muovendo per praticare auto-sostentamento fino alla totale abolizione del vile denaro. C’è solo un problema: per quanto siano ottimi esperimenti per dimostrare che l’anarchia non è un’utopia, alcuni di questi terreni sono stati acquistati. In questo modo, si arricchirà sempre il potere: ecco perché bisognerebbe espropriare, occupare terreni e strutture inutilizzate, per creare realtà autogestite cercando, per quanto possibile, di ritornare a vivere in armonia con la Natura e (quindi) con noi stessi, eliminando la delega, la gerarchia, il familismo, per praticare invece il mutuo appoggio. Ma soprattutto per cercare di fare sempre più passi avanti verso la libertà.

In caso contrario, potrete tenervi questo mondo sbagliato da lasciare ai vostri eredi, questo mondo che sta portando tutti alla rovina e che non volete cambiare, questo mondo che sta distruggendo voi e i vostri figli.

Di certo non ci metteremo più a discutere con chi teme che, con l’anarchia e la soppressione dei soldi e dell’economia, potrebbe non avere più la connessione a internet.
A parte il fatto che tutto può essere collettivizzato, tutto può essere auto-prodotto, tutto può essere risolto con il mutuo appoggio anziché con la delega dei soldi (i soldi ci dividono, servono a mantenere la gerarchia e lo sfruttamento, ne abbiamo già parlato qui), l’arte ad esempio può essere praticata per puro piacere, ma poi che cosa importa? La libertà è ciò di cui abbiamo bisogno, non certo internet. Oggi ne siamo schiavi e proviamo anche a utilizzarlo per diffondere il nostro pensiero, ma mettiamo caso che la gente si svegliasse davvero e anziché chiedersi chi delegare alle prossime elezioni, facesse una vera rivoluzione per sopprimere definitivamente il sistema: di cosa avremmo bisogno innanzitutto? Di cibo, acqua, vestiti, rifugi-case-ripari o della connessione a internet?
Io vi ripeto la frase di Enzo Martucci “La libertà è per l’uomo mille volte più necessaria di tutti i treni, le macchine, gli aeroplani e le radio. Un individuo libero nel mezzo di un bosco dove vive da selvaggio si sente soddisfatto e contento come non è il miserabile gregario imprigionato nella civiltà e costretto a fare sempre quello che vogliono gli altri e mai ciò che lui vuole”. Ma l’anarchia non è necessariamente un mondo selvaggio (anche se è quello che più mi auspicherei, sentendomi molto vicino alle idee primitiviste) e dunque invece di dire certe fesserie, leggete i libri di Kropotkin, Malatesta, Proudhon, Ivan Illich, Colin Ward, Murray Bookchin, Bakunin, Stirner, Zerzan, il già citato Manicardi ecc.
Non avete tempo? Nemmeno io ho tempo da perdere con quel tipo di persona che ha paura che con l’anarchia e l’eliminazione dei soldi non avrebbe più i suoi bei vizi e le sue (false e illusorie) comodità.

Come sapete, questo blog era nato con l’intenzione di far conoscere l’anarchia in Valle Caudina e con la speranza di creare un movimento anarchico nel mio territorio. Il secondo intento è miseramente fallito e perciò questo è l’ultimo articolo che pubblicherò, ma sono lieto di aver fatto qualcosa per portare a termine il primo intento: spero che i miei scritti potranno essere utili a qualche abitante della Valle Caudina che sia incuriosito dall’anarchia, in modo tale che si smetta di utilizzare questo termine come sinonimo di caos.

Certo, se si facesse una vera e propria rivoluzione, sarebbe inevitabile un bel po’ di “caos”, ma poi, eliminato il potere, sentiremmo l’esigenza di ristabilire, non l’ordine (perché l’ossessione per l’ordine è causa di autoritarismo e del caos che ne consegue), ma l’armonia, e questa volta senza delegare le istituzioni, ma grazie al mutuo appoggio.

Perciò, sarebbe ora che, non più la parola “anarchia”, ma la parola “gerarchia” diventasse finalmente sinonimo di caos: se non lo vedete, provate ad aprire meglio gli occhi.

Concludo, dunque, con la frase più significativa che cerca di smentire questo luogo comune:

Da quando si pensò che un governo era necessario e che senza governo ci sarebbe stato solo disordine e confusione, fu naturale e logico che l’anarchia, che vuol dire assenza di governo, significasse assenza di ordine”.

(Errico Malatesta)

Su questo link, alcuni libri che cominciare a comprendere l’anarchia.

Leggi anche “Manifesto del Movimento Anarchico Caudino”

La Valle Caudina in burqa e camicia nera

Il quattro maggio era un lunedì. Generalmente – lockdown o no – tutti hanno da fare più che negli altri giorni: il cibo è finito e bisogna fare la spesa. Ora che è iniziata la cosiddetta fase 2, dobbiamo iniziare a cercare di recuperare tante cose che abbiamo lasciato in sospeso. Non solo le noiose, stressanti faccende burocratiche e commissioni, ma anche le passeggiate, una chiacchierata con gli altri (a distanza o con quegli inutili e dannosi guanti e mascherine), le corsette, assorbire finalmente il sole. E lunedì era anche una bellissima giornata. Era commovente ritornare a passeggiare e vedere altri umani oltre alle nostre famiglie e all’infuori di ambienti come supermercati e uffici postali.

Tante persone con le mascherine e con i guanti (nonostante, lo ripetiamo, siano inutili e dannosi). Poche persone non li indossavano e rispettavano comunque le distanze. Noi siamo convinti che non succederebbe nulla anche se non mantenessimo le distanze: non crediamo al mito della pericolosità nei positivi asintomatici. Crediamo piuttosto alla pericolosità del sistema e della società che ci obbliga a fare cose senza senso distruggendo la nostra salute psicologica e fisica. Ma ammettiamo che la distanza di sicurezza, i guanti e le mascherine siano misure necessarie, e ammettiamo che ci siano minoranze che non le rispettano: sarebbero state comunque un’eccezione, qui in Valle Caudina.

Il sottoscritto in questi mesi, pur mettendo in discussione le regole imposte, le ha rispettate forse più degli altri (come fa da una vita, del resto: odia le leggi imposte e le critica, ma le rispetta – per quanto possibile – per non avere noie), ma non è abituato alla reclusione, bensì alle lunghe passeggiate tra il paese e tra la natura. Dopo che ci hanno proibito per due mesi questo bene di prima necessità (che il governo e soprattutto il governatore della regione Campania, arrogantemente e stupidamente non ritenevano tali), quando ce lo hanno permesso, il sottoscritto era commosso e più sereno. Anche polizia e carabinieri sembrano ormai stanchi di tanta austerità. Ma noi sappiamo, ormai, che non sono tanto loro il problema, bensì i cittadini che si credono onesti. Ma ancora di più, i giornalisti.

E infatti, appena tornato a casa, ho trovato un articolo su un noto giornale locale che, a mio avviso (come posso sbagliarmi io, così si sono potuti sbagliare loro) riporta una gran falsità e che alimenta paura e odio.

“Troppa gente in giro e giovani senza guanti e mascherine” titolava l’articolo.

Da notare, tra l’altro, come non si perda mai occasione per accusare sempre i giovani, quando in realtà il marcio della società sono quei vecchi che hanno contribuito a costruirla ed accettarla così com’è anziché cambiarla, anziché renderla più libera e in armonia con la natura.

La Valle Caudina è, purtroppo, il riflesso della banalità dell’Italia e del mondo. Niente di più, niente di meno. Oggi fanno convegni sull’antifascismo, sull’antirazzismo e su quanto siano stati bravi i nostri antenati a combattere contro le ingiustizie, ma intanto quelle di oggi le accettano e le rispettano.

Non ho potuto fare a meno di commentare:

Non è assolutamente vero. Quasi tutti portavano la mascherina e chi non la portava è perché non doveva avere a che fare con nessuno e rispettava le distanze di sicurezza. Articoli come questo ci faranno rinchiudere di nuovo e privare nuovamente di quel poco di libertà che abbiamo. Siamo stanchi di queste misure dittatoriali inutili e dannose  (e molte anche anticostituzionali) che ci stanno ammazzando, ci stanno facendo del male in modo peggiore rispetto a quello che avrebbe potuto fare un virus. Se vi informaste meglio, sapreste che i guanti non servono assolutamente a niente. Tra i medici e gli scienziati inoltre ci sono teorie che variano e secondo alcuni sarebbero inutili (e forse anche dannose) pure le mascherine. A causa di gente come voi che chiede restrizioni, controlli e punizioni più severe in questi mesi si sono giustificate le peggiori misure repressive. Elicotteri e droni per un poveraccio che andava DA SOLO sulla spiaggia, tso per i dissidenti come nel peggior regime totalitario. Censure denunce a giornalisti e scienziati che esprimevano opinioni diverse. E voi chiedete più controlli e restrizioni? Voi siete allergici alla libertà. Noi siamo allergici alla prigionia, quindi possiamo trovare un accordo: se non volete vedere gente in giro, stateci voi a casa. E per i deficienti che risponderanno “eh, poi se ti ammali vuoi farti curare eh? Eh?” Io avrei tutto il diritto di essere curato, considerando che, a differenza di ciò che credete, nemmeno la sanità pubblica è gratuita: si pagano le tasse. E avrei anche il diritto di NON essere curato. E invece di prendervela con i giovani che fanno ciò che è nella natura umana, prendetevela con quelle merde che difendete, che hanno fatto- tra l’altro – tagli alla sanità e hanno speso soldi per militari, droni, elicotteri, pattuglie di carabinieri e polizia ad arrestare un ragazzino che chiacchierava con gli amici. Prendetevela con chi – stile neolingua di Orwell – ha attribuito il termine “assembramento” a una semplice chiacchierata tra amici. Prendetevela con chi ha causato tutto questo giocando con la natura. No, eh? Molto più comodo prendersela con i ragazzini che escono. Il volto di persone che non vedevo da tempo  e il loro sorriso ci avevano rasserenato il cuore e dato un barlume di speranza. Poi arrivo qui e leggo questo articolo. Fate una cosa. Stateci voi dentro. Che noi ci siamo stancati. Aspetto insulti dei ben/nonpensanti.”

Qualcuno mi ha risposto che siccome è stato reso obbligatorio, non dobbiamo nemmeno metterlo in discussione, dobbiamo obbedire e basta: la banalità del male sta appunto nell’obbedire e basta. “Io ho solo eseguito gli ordini” : si sono sempre giustificati così, dopo tanti anni, i servi di ogni regime: ed è quello il problema! Per questi benpensanti-nonpensanti qualsiasi cosa sia obbligatoria è automaticamente giusta, qualsiasi cosa dicano i giornali e la televisione è vera. Non dubitare, non pensare. Solo credere e obbedire.

E intanto noi tutti ne paghiamo le conseguenze.

Se il governo obbligasse tutti a tagliarsi un braccio, le masse lo riterrebbero giusto, fino a che un giorno non si arrivasse a dire che “sarebbe un caos, se tutti avessimo due braccia!”

Gente come noi, però, penserebbe prima di tutto al dolore che ci provocherebbe tale azione e a come si potrebbe vivere senza un braccio (c’è gente che ci riesce NONOSTANTE non abbia un braccio, non grazie al fatto che non ce l’ha). E se anche non ci pensasse subito, una volta che hai cominciato a tagliarti il braccio e cominciassi ad avvertire il dolore, cosa faresti? Continueresti a tagliartelo?

Probabilmente le persone che hanno scritto quell’articolo e chi gli ha dato ragione, sì, continuerebbero a farlo perché ci è stato imposto.

E se arrivasse l’ISIS a imporre le sue regole, certi giornali e certi cittadini li accetterebbero (magari proprio quelli che oggi sono xenofobi e islamofobi) e chiederebbero anche in quel contesto più controlli e più severità, anziché appoggiare chi vuole cambiare il mondo in meglio e conquistare la libertà. Il burqa già lo abbiamo. E non solo le donne.


La camicia nera purtroppo è dentro di voi (non posso certo dire “in noi”) e sembra non essersene mai andata.

Del resto, cosa c’è da sorprendersi, considerando che in uno dei comuni caudini, ossia a Cervinara (che anche durante il Ventennio dava molto consenso al regime fascista), troneggia fieramente nella villa comunale, una statua denominata “La madre degli eroi” che inneggia alla guerra e la cui scritta sull’incisione recita il noto motto fascista “PER LA RELIGIONE PER LA PATRIA PER LA FAMIGLIA”?

A differenza di ciò che dicono i giornali, in Valle Caudina c’è stato e continua ad esserci un grande senso di responsabilità. I pochi che non avevano la mascherina, come dicevamo, mantenevano comunque le distanze di sicurezza.
I giornali lamentano anche l’inutilizzo dei guanti, che non sono né obbligatori né utili quando si è in giro da soli a passeggiare (quindi non al supermercato a toccare cose).
In generale, in tutta Italia c’è stato, da parte dei cittadini, un comportamento responsabile, anche troppo (fino a sfociare nelle delazioni). E come siamo stati premiati?
Con restrizioni e repressioni ancora più dure, con censure, con denunce, multe ingiustificate ed eccessive.
ADESSO BASTA! NON STAREMO PIU’ AL VOSTRO GIOCO! Non ci faremo più trattare come bambini!

La dittatura deve finire adesso.

Dobbiamo mettere fine al regime totalitario sanitario. Contestate tutto ciò che ci sembra sbagliato.

Se voi volete soltanto credere obbedire e combattere, noi vogliamo dubitare, disobbedire e lottare. Lottare contro tutte le ingiustizie del sistema.

La Valle Caudina ha bisogno di libertari e anarchici, non di bravi servi del sistema che stanno portando l’umanità alla sua distruzione.

P.S. se vi sembra che le distanze di sicurezza non siano abbastanza, be’, allargate le strade.

I veri (ir)responsabili

Il volantino ANARCHICO per cui mi hanno rotto i coglioni a fine novembre, oltre a dire che volevo formare un gruppo ANARCHICO, diceva anche che avremmo potuto impedire cose come quella che è accaduta, cominciando a vivere in autogestione (IN ANARCHIA) e quindi in armonia con la Natura. Ma qui si preferisce sempre “curare i sintomi” con la repressione, anziché andare alle radici dei problemi. Ora tutti “responsabili”, perché è più facile chiudersi dentro e chiamare gli sbirri. Mi verrebbe proprio voglia di uscire, avere contatto con tutti, farmi contagiare e contagiare tutti, così finalmente finisce quest’umanità imbecille che non si ribella.

Il sistema capitalista prima provoca danni e poi scarica la colpa sui “cittadini irresponsabili”.

E voi, invece, siete stati responsabili, signori padroni?

Voi che distruggete e contaminate la Natura, che ci costringete a respirare aria inquinata e mangiare cibi cancerogeni, avendoci sottoposti tutti al ricatto economico.
Voi che mettete in galera coloro che si battono contro le devastazioni ambientali per evitare situazioni come quella attuale.
Voi che ci barricate in casa e non ci permettete nemmeno di fare una passeggiata solitaria, benché non provocherebbe nessun danno: basta rispettare le distanze di sicurezza e le “regole del buon senso”. Non ci permettete nemmeno di vedere il sole, benché i suoi raggi – anche se ormai avete avvelenato anche quelli – possono fare in modo che assorbiamo vitamine e ci fanno bene alla pelle (e all’umore).

Voi che ci permettete di uscire soltanto per “comprare beni di prima necessità”, dato che ci impedite di procacciarceli e/o autoprodurceli, fino a togliercene le capacità. E io che odio i supermercati, sarò costretto ad andarci anche solo per cercare di prendere una boccata d’aria, contribuendo ancora di più allo sfruttamento di altri individui e all’arricchimento di altri (perché nella società nell’abbondanza, quei “beni” li producono gli schiavi sfruttati per arricchire i padroni).
E intanto devo sopportare le stronzate della televisione.

Siete responsabili voi?

Sì, in effetti, siete I responsabili di tutto questo.

Comodo, troppo comodo, prendersela con l’individuo e “l’irresponsabilità dei cittadini”, sorvegliandoci e trattandoci come bambini, parlandoci in tono paternalistico, anche se chiusi dentro rischiamo di impazzire. Perché che senso ha rinunciare a vivere per paura di morire? La polizia, per lo meno, dovendo sorvegliarci, esce a prendere qualche boccata d’aria.
Ma noi? Come facciamo? Dovremmo, come consigliano i politici, rivolgerci tutti a qualche psichiatra, quando cominciamo ad avvertire gli effetti della reclusione?

Comodo condannarci a questi arresti domiciliari, quando i colpevoli siete voi.
Sarebbe, invece, troppo scomodo cercare le cause dei problemi ed estirparne le radici.

Comodo non capire che, se la gente esce, è per non impazzire. E non solo perché ci sono famiglie i cui membri tra loro non vanno d’accordo, ma perché non è la nostra condizione naturale stare chiusi dentro, ecco perché la gente si comporta, come dite voi, da “irresponsabili”.

Avete ragione, noi non siamo responsabili.
Non siamo noi i responsabili di tutto questo. Lo siete voi.
Noi stavamo soltanto cercando di vivere, che già era difficile prima della pandemia.

Perché voi, signori padroni, siete i responsabili.
Voi che provocate tutto questo in nome del profitto.

E che cosa intendete quando dite che “andrà tutto bene”, come ipocritamente ci spingete a ripetere?
Che torneremo a produrre e a consumare prodotti cancerogeni, dato non tutti possiamo permetterci l’orto sinergico purtroppo, avendo privatizzato la terra?
Che potremo ritornare a respirare l’aria inquinata e morire di cancro?
Che potremo ritornare a contribuire alla sofferenza di tanti individui (animali e non) per il vostro profitto?
Tanto anche lì continuerete a dire che siamo noi gli irresponsabili. E quando non ne potrete più, direte che la colpa è “dell’essere umano”, non dei padroni.

Ma tranquilli, c’è il sistema con i suoi servi a proteggerci e a “risolvere i problemi”.

Io resto a casa, però smettetela di mentirci.
Io resto a casa, ma sappiate che sto impazzendo.
Io resto a casa perché anche chi vuole cercare di cambiare le cose in meglio, viene redarguito, punito e arrestato da quegli stessi colpevoli che hanno fatto tutto questo.
Io resto a casa perché non voglio avere niente a che fare con i delatori.
Io resto a casa perché lo so che il virus è reale e pericoloso.
Io resto a casa, ma voi state esagerando a impedirci anche una passeggiata da soli.
Io resto a casa, però smettetela di prenderci per il culo.
Io resto a casa, però siete voi il più grande e pericolosissimo virus che ci stava già ammazzando da tempo in silenzio.
Io resto a casa, però, non dimentico che siete voi, sempre voi i veri (ir)responsabili.

“Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.

Il problema del carcere e della sicurezza nel pensiero anarchico

Talvolta rabbrividisco, quando persino alcuni che si dicono anarchici (“anarchici” ancora confusi, forse) sostengono che “in certi casi il carcere è necessario”, ragionando allo stesso modo semplicistico degli statalisti che parlano di rieducazione o addirittura di pena di morte.

Rieducare a che cosa? Alla legge dello Stato? Essa è per l’appunto la legge del più forte. Paradossalmente, è la stessa legge del Sistema ad educare alla criminalità, essendo il Sistema nato sulla forza, sulla violenza e sul terrore politico. Chi non diventa “criminale” o non infrange le leggi dello Stato o non si ribella, diventa un bravo schiavo che sta comunque male nella prigione del Sistema, nella cosiddetta società civile, spesso costretto a utilizzare vari palliativi, (discorso che abbiamo già affrontato negli articoli “la droga non si combatte con la repressione” e “manifesto del movimento anarchico caudino”). Quando l’individuo muore a causa della droga o per suicidio, il popolo versa poi lacrime di coccodrillo, i giornalisti scrivono articoli pieni di retorica, gli intellettuali e le scuole fanno convegni in cui parlano di suicidi, di giovani, di droga e invitano a contattare sbirri e psicologi.

Alcuni sostengono che in galera dovrebbero andarci mafiosi e politici. Ma se questi finissero in galera – strumento dello Stato – significherebbe che, anche senza volerlo, si è costituito un nuovo gruppo di potere. Immaginiamo una rivoluzione anarchica: se, dopo (o durante) l’immaginaria rivoluzione, mettessimo in galera politici e mafiosi, saremmo noi i nuovi politici e i nuovi sbirri: saremmo di nuovo punto e a capo, come è già accaduto in ogni rivoluzione marxista-leninista.

Per trattare la questione del carcere, dato che a livello di rivoluzione siamo a zero, bisogna esaminare due punti di vista: il carcere in una possibile società anarchica e il carcere nella nostra società attuale e democratica.

In una società anarchica, chi “ruba”- giacché avremmo tutti il necessario per sopravvivere-, sarebbe da considerare un nuovo avido capitalista, un nuovo oppressore da combattere e da cui difendersi, proprio come dovremmo fare oggi nella società democratica per combattere il potere.

Errico Malatesta, ai suoi tempi, era convinto che se in una società anarchica ci fossero stati ugualmente criminali, assassini, stupratori, questi sarebbero necessariamente da considerare dei malati.

“[…]in colui che commette atti antisociali, non vedremmo già lo schiavo ribelle, come avviene al giudice di oggi, ma il fratello ammalato e necessitoso di cura” scriveva nel suo libro “L’anarchia il nostro programma”. All’apparenza, nessuna risposta più libertaria di questa. Tuttavia, oggi sappiamo che tale affermazione significherebbe dar ragione alla psichiatria e che in quel caso, la medicalizzazione forzata sarebbe delegata alla società, non più alle autorità. Ma sarebbe pur sempre una barbarie basata su una teoria lombrosiana. Ci siamo già occupati di questa questione nell’articolo precedente riguardo la psichiatria.

Quella risposta di Malatesta fu contestata da alcune personalità come l’anarchico individualista Enzo Martucci che riporta in un suo scritto questa riflessione: “voler curare, per forza, questi individui; volerli guarire ad onta della loro volontà, sarebbe come pretendere da un tubercolotico che si astenga dal fumo e dall’alcool per allungare la sua vita. “Ma a me non importa di morire prima – risponderà l’ammalato – purché possa ora soddisfarmi a modo mio. È meglio vivere ancora un solo anno, godendo, e non dieci soffrendo e rinunziando a tutto”. Vorrete costringere a salvarsi quelli che vorranno perdersi? Ma allora non saranno più essi padroni della loro esistenza. Non potranno disporne come meglio crederanno, e sentiranno come un male il bene che intenderete fare. Se la Clara di Mirbeau o i personaggi di Sade cercano di seviziarvi, sparate su loro. Ma lasciateli in pace e abbandonate l’idea di indurli al pentimento, in nome di Dio e della morale, o di curarli e guarirli, per la gloria della scienza e dell’umanità. Ed inoltre, è poi vero che tutti coloro che consumano un delitto sono malati, pazzi degni del manicomio e della doccia? Se la domanda la rivolgete alla scienza di Lombroso, questa vi risponde affermativamente. Vi definisce il crimine come un ritorno atavico. ” – scrive Martucci nel suo libro “La bandiera dell’Anticristo” (dal capitolo “Né galere né poliziotti).

Affermazioni come “sparate piuttosto su di loro, ma non curateli” fanno anch’essere rabbrividire di certo. Ma è paradossale che facciano rabbrividire coloro che credono sia meglio e meno violento rinchiudere una persona in una prigione e/o in un ospedale. Si dovrebbe innanzitutto riflettere sulla differenza tra l’individuo che assassina un oppressore e il potere che assassina l’individuo o un suo avversario politico: in poche parole non è uguale alla pena di morte.

Fatto sta che, come abbiamo già detto, con un trattamento sanitario obbligatorio si rischia comunque la morte o, peggio ancora, di fare ammalare davvero l’individuo.

Non a caso, oggi, gli stessi movimenti anarchici che si riconoscono nel programma di Errico Malatesta, hanno fondato dei collettivi antipsichiatrici e sanno che un criminale non è un malato da curare.

Su una cosa concordano ormai tutti, individualisti, collettivisti e stirneriani: dall’oppressore bisogna sempre difendersi, bisogna sempre essere pronti, magari cercando di metterlo in fuga e di non ammazzarlo, se questo non sta attentando alla nostra vita. La mentalità e l’educazione statalista, democratica e soprattutto cristiana può farci apparire la legittima difesa come una soluzione da leghisti. Non è così. Anche perché i leghisti e i fascisti legittimano la difesa della proprietà privata, che noi vogliamo abolire.

Mi fanno sorridere quelle persone che, scoperto che esistono delle comunità anarchiche, mi chiedono come fanno a difendersi se lì non c’è la polizia. Sarebbe molto più sensato invece chiedersi, come fanno a difendersi DALLA polizia.

“E se arriva un sociopatico che all’improvviso spara addosso alla gente”?

Ancora una volta si attribuiscono erroneamente la criminalità e la pericolosità alla cosiddetta fantomatica malattia mentale. Ci ritorna in mente il già citato esempio di Giorgio Antonucci riguardo la vicenda di Gaetano Bresci e Bava Beccaris: chi era il “sociopatico” o “malato di mente”? Gaetano Bresci che uccise il re oppressore? O Bava Beccaris che sparò sulla folla? Nessuno dei due. Ognuno di loro aveva le sue motivazioni per farlo: ricercare le motivazioni, non vuol dire giustificarle o condividerle, significa tentare di capirle.

Non esiste una persona che spara addosso alla gente senza motivo. Può essere ovviamente un motivo futile, può essere un motivo ovviamente non condivisibile, ma il motivo c’è. Sempre.

Ma se anche esistessero i cosiddetti sociopatici che sparano addosso alla gente: che cosa c’entra la polizia? Potrebbe forse impedire un massacro? Qualcuno potrebbe rispondermi che “vista la presenza della polizia, l’individuo ci penserebbe due volte prima di fare un massacro”, senza rendersi conto che in questo modo cade per l’appunto la teoria del soggetto che non sarebbe in grado di intendere e di volere.

Gli statalisti, affermano sempre che “senza la polizia sarebbe peggio”, perché non hanno ben compreso che occorrerebbe andare alle radici dei problemi per estirparle, non “curare i sintomi”, non nascondere i problemi in un carcere, non reprimere e punire anche chi si trova costretto a delinquere oppure influenzato dallo stesso sistema capitalista che ci educa ad avere di più e a prendercelo con la forza oppure al contrario a essere remissivi e pagarne comunque tutte le conseguenze che paghiamo noi tutti: anarchici e statalisti. Il carcere, si può dire, è una delle “soluzioni” comode ai problemi che provoca il Sistema stesso, insieme alla nostra cultura, la nostra educazione, dal moralismo sessuofobo che reprime i nostri istinti e provoca perversioni e trasforma il sesso – ciò che è un istinto naturale – in atti violenti, così come la stessa cultura del dominio (dice bene, in entrambi i casi, lo slogan femminista “lo stupratore non è malato ma figlio del sano patriarcato”). Si preferisce arrestare spacciatori e venditori di contrabbando, anziché cercare di capire perché c’è chi sceglie questo mestiere per sopravvivere e perché c’è gente che fa uso di droghe (abbiamo già detto che la droga non si combatte con la repressione, ma con la libertà e che un altro paradosso del sistema è combattere le droghe illegali e obbligare ad assumere quelle legali).  Noi anarchici lo diciamo sempre: non ci sono criminali da punire, ma le cause dei crimini eliminare. Ovviamente questo non conviene al Sistema, altrimenti dovrebbe autodistruggersi.

Immaginando invece, di nuovo un possibile mondo anarchico, oppure semplicemente una comune libertaria, dobbiamo comunque pensare eventualmente a come difenderci, non tanto gli uni dagli altri come temono gli statalisti, ma dai nuovi possibili oppressori.

Qui ed ora invece, di certo non basta eliminare il carcere. Bisogna, invece, cominciare a costruire una società completamente libera (non solo dal sistema, ma anche dai preconcetti, dal familismo, dal bigottismo, dal moralismo), dove tutti sono soddisfatti e si riduce al minimo la possibilità e l’incentivo di commettere atti criminali. Per fare questo, però, a mio avviso, bisognerebbe cominciare a liberarsi dall’educazione alla legalità a cui ci indottrinano fin dalla scuola, da quella religiosa a cui ci indottrinano fin dalla tenera età in famiglia. Bisogna dunque creare tante piccole o grandi comunità libere, basate sul mutuo appoggio e sulla libertà, senza la famiglia nucleare, senza i vincoli matrimoniali, con scuole libertarie e/o educazione parentale, anziché scuole statali o private. Continuare, come già si sta facendo da anni, a creare spazi di libertà, radio indipendenti e canali di controinformazione (oggi anche con l’aiuto della rete); terreni autogestiti con orto sinergico gestito insieme agli amici, fare autoproduzione il più possibile per boicottare il capitalismo e lo Stato e prepararci sempre a difenderci dalla sua violenza. Sappiamo infatti che lo Stato è sempre più violento e malvagio, perciò, per ogni passo avanti che faremo, esso proverà (e spesso riuscirà) a ostacolarci, ma noi dovremo resistere.

Come scrive ancora Colin Ward “L’istituzione più violenta della nostra società è lo stato, che reagisce con la violenza ai tentativi di sottrargli il potere. (Come diceva Malatesta, tu cerchi di fare le tue cose, quelli intervengono, e poi tu sei quello a cui vengono rimproverati gli scontri che ne derivano). Questo significa che quei tentativi sono sbagliati? Bisogna distinguere tra la violenza dell’oppressore e la resistenza degli oppressi” ( da Anarchia come organizzazione)

Noi anarchici, sia ora, sia nel mondo che potremmo costruire, dovremo sempre difenderci dall’oppressore, che sia un banale delinquentuccio, che sia lo Stato, che sia la Mafia, non fa alcuna differenza. Gli anarchici dovranno sempre combattere, individualmente e collettivamente, ogni forma di dominio con ogni mezzo, senza disdegnare nemmeno il metodo dei cosiddetti pacifisti e hippy, se pensano che possa essere efficace il metodo di lotta pacifico. Del resto, lo stesso Malatesta, che pacifista non era affatto, scriveva “Non saremo buoni da noi a mettere a dovere chi non rispetta gli altri? Soltanto, non li strazieremo, come si fa adesso dei rei e degli innocenti; ma li metteremo in posizione di non poter nuocere, e faremo di tutto per riportarli sulla dritta via” (dal libro “Fra contadini. Dialogo sull’anarchia”).

Come scrive, però, Colin Ward , senza allontanarsi tanto dall’affermazione di Malatesta“Naturalmente in ogni società, anche in quella meglio organizzata, ci saranno individui passionali, le cui azioni, qualche volta, potranno essere contrarie all’interesse comune. Ma al fine di prevenire anche queste possibilità, l’unica soluzione è quella di garantire sbocchi positivi al carattere passionale di costoro” (Anarchia come organizzazione).

Anche se il potere non sarà mai completamente distrutto, bisogna in tutti i modi cercare di inceppare i suoi ingranaggi e cercare di distruggere la maggior parte, per quanto possibile, delle cause dei crimini, fino a che non ci sarà più bisogno del carcere.

L’anarchia nel periodo del coronavirus (e la cosiddetta irresponsabilità dei cittadini).

Non si perde occasione per parlare dell’irresponsabilità dei cittadini (o meglio dell’individuo) e giustificare l’esistenza del potere, la necessità delle leggi imposte dalle autorità. Persino sedicenti anarchici, hanno perso la loro “fede” (odio definire l’anarchia una fede, ma passatemi la metafora), confermando che “l’anarchia non è possibile perché la gente è irresponsabile”. Ci si dimentica una cosa fondamentale, cioè che è il contrario: la gente è diventata irresponsabile proprio perché non c’è l’anarchia (ovvero l’autogestione), perché ormai sono millenni che si è stati abituati alla delega, alla gerarchia, a essere trattati dalle autorità come degli eterni bambini, a sentirci dire cosa fare in modo paternalistico. Di conseguenza, se davvero il popolo si comporta come “un bambino capriccioso e irresponsabile” è perché disobbedire alle autorità è nella natura umana (oltre al fatto che talvolta è necessario e legato a bisogni personali e individuali che non conosciamo), anche in chi non si dice anarchico, anzi, correggo, forse ancora di più in chi non si dice anarchico e giustifica il potere. Molto spesso, sono proprio coloro che difendono il potere a gridare “al complotto”, a essere scettici su ciò che il potere ci sta dicendo attraverso i suoi strumenti di comunicazione che possono spesso essere utilizzati come mezzi di controllo e manipolazione. Così, si creano panico e caos, quello stesso caos che si teme esisterebbe con l’anarchia e dunque sia anarchici che statalisti diventano autoritari oppure totalmente irresponsabili. Dall’anarchico che, per giocare a fare il ribelle (proprio ora vi viene in mente di ribellarvi?) se ne frega di tutto e si comporta da irresponsabile all’anarchico che, lamentandosi dell’irresponsabilità dei cittadini, comincia a giustificare la violenza poliziesca e la delazione.

Sia agli anarchici che agli statalisti “complottisti” dico: capisco che, siccome ci riempiono di menzogne, si sospetti di un complotto, di tecniche di manipolazioni, ma in questo modo staremmo facendo il gioco del potere, sia nel caso che sia tutto un complotto, sia nel caso sia tutto vero.

Agli statalisti, diciamo proprio questo: sentirsi dire cosa fare e poi prendersela con chi ce lo dice, è comodo, ed è proprio questo che noi anarchici non vogliamo. Senza il potere, non ci sarebbe complotto né sospetti di complotto e dunque più responsabilità.

Chissà che, senza il sistema, senza la distruzione della Natura, senza il capitalismo, senza la scienza in mano ai pochi privilegiati, forse virus ed epidemie, non sarebbero mai nati e se anche fossero nati, praticando il mutuo appoggio, l’autogestione e non la delega alle autorità, la responsabilità sarebbe stata inevitabile e necessaria, naturale, spontanea.

Ancora una volta, se ci riflettiamo, è il sistema, sempre il sistema a creare i problemi e poi a cercare di rimediare ai danni che ha fatto.

Agli statalisti, diciamo inoltre che è proprio in questo momento che dovremmo renderci conto che sarebbe essenziale l’anarchia: ci dicono di non uscire, ma intanto, a causa del ricatto economico, dobbiamo uscire (guarda caso) per andare al lavoro, alle poste, in banca, a fare la spesa. Dipendendo dal ricatto economico, il sistema ci impedisce di essere autosufficienti.

Proprio ora bisognerebbe capire che l’unica strada è l’autogestione.

L’anarchico Caudino

Antisessismo Anarchico: per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

La salvezza dell’individuo è nell’individuo stesso, non di certo nel supplicare diritti alle istituzioni. Non sarà mai il sistema a proteggerci dalla violenza, perché esso stesso è violento, esso stesso crea strutture violente, ci ha rinchiusi in una gabbia fatta di altre piccole gabbie che ci dividono e ci mettono gli uni contro gli altri, incitandoci a diffidare gli uni degli altri. Uomini contro donne, bianchi contro neri, italiani contro stranieri e varie divisione politiche e ideologiche: da ciò deriva nient’altro che una guerra tra poveri. La famiglia nucleare è soltanto una di quelle strutture divisorie: ci dice di fidarci dei nostri parenti e di diffidare sempre degli sconosciuti, facendoceli immaginare (e diventare) sempre come potenziali nemici. Ma le maggiori violenze, spesso taciute, avvengono tra le mura domestiche, a causa della privazione di ogni tipo di libertà e della nostra mentalità liberticida. Già l’anarchico Errico Malatesta, nel suo libro “Al caffè, discutendo di anarchia e di libertà”, scriveva:

“Noi che consideriamo la donna come un essere umano pari a noi, che deve godere di tutti i diritti e di tutti i mezzi di cui gode, o deve godere, il sesso maschile, noi troviamo semplicemente vuota di senso la domanda: che cosa farete delle donne? Domandate piuttosto: che cosa faranno le donne? Ed io vi risponderò che faranno quel che vorranno e che siccome esse hanno al pari degli uomini bisogno di vivere in società, è certo che vorranno accordarsi con i loro simili, maschi e femmine, per soddisfare ai loro bisogni col maggior vantaggio proprio e di tutti.  […] Credete che possa esistere davvero un amore schiavo? Esisterà la coabitazione forzata, l’amore finto per forza, per interesse o per convenienza sociale; magari vi saranno uomini e donne che rispetteranno il vincolo matrimoniale per convinzione religiosa o morale; ma l’amore vero non può esistere, non si concepisce, se non perfettamente libero[…] gli odi lungamente covati, i mariti che uccidono le mogli, le mogli che avvelenano i mariti, gl’infanticidi, i fanciulli cresciuti fra gli scandali e le risse familiari… è questa la morale che voi temete minacciata dalla libertà nell’amore? Oggi sì che il mondo è un lupanare, perché le donne son costrette spesso a prostituirsi per fame; e perché il matrimonio, sovente contratto per puro calcolo d’interesse, è sempre per tutta la sua durata un’unione in cui l’amore o non c’entra affatto, o c’entra solo come un accessorio. Assicurate a tutti i mezzi per vivere convenientemente ed indipendentemente, date alla donna libertà completa di disporre della sua persona, distruggete i pregiudizi, religiosi o altri, che vincolano uomini e donne ad una quantità di convenienze che derivano dalla schiavitù e la perpetuano — e le unioni sessuali saran fatte d’amore, dureranno tanto quanto dura l’amore, e non produrranno che la felicità degli individui ed il bene della specie. Noi vogliamo la libertà. […] Certamente, una volta eliminate le condizioni che oggi rendono artificiose e forzate le relazioni tra uomo e donna, si costituiranno un’igiene ed una morale sessuale che saranno rispettate, non per legge, ma per la convinzione, fondata sull’esperienza, che esse soddisfano al bene proprio e della specie. Ma questo non può essere che l’effetto della libertà”.

Bisogna dunque creare una “grande famiglia”, bisogna costruire una società basata sul mutuo appoggio e sulla libertà, sulla libera unione e priva di gerarchie. Se oggi esistono molti crimini e violenze non è perché il potere deve essere migliorato e riformato (non ci sono poteri buoni), ma proprio perché il potere esiste e soffoca i nostri bisogni e istinti naturali. Per questo il potere non può aiutare nessuno: per farlo dovrebbe autodistruggersi. E non lo farà mai.

“Difenditi e nessuno ti farà niente! Chi vuole spezzare la tua volontà, dovrà vedersela con te! È tuo nemico: trattalo come tale. Se dietro di te ci sono milioni di persone a difenderti, avrete una forza imponente e vincerete senza difficoltà”. *

(Max Stirner)

Movimento Anarchico Caudino

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Avvertenze per le autorità che, non avendo nulla di meglio da fare, incriminano i volantini e le parole: trascorrete un po’ del vostro tempo inutile a leggere questo articolo (dovete cliccare sulle parole in blu), scritto apposta per voi.

Consigli per le autorità: comprate un vocabolario o consultate internet per capire cosa vuol dire veramente “lotta”, “mutuo appoggio” e “azione diretta”, senza interpretare i termini come vi fa comodo soltanto perché dovete portare il pane a casa: siete anche voi vittime del sistema, solo che non lo sapete.

*Sempre le per le autorità: la frase di Stirner, in questo contesto, sta a significare che dobbiamo aiutarci a vicenda, ma forse non dovevo spiegarvelo.



25 aprile Quale Liberazione?

Da un voltantino sempre attuale, riportiamo:

“Il fascismo non è scomparso all’indomani del 25 aprile 1945. Anzi, proprio a partire da quella data ha preso l’avvio una costante strategia d’infiltrazione, evidentemente favorita dalle stesse strutture di potere, che ha fatto sì che l’ideologia fascista potesse radicarsi nuovamente all’interno della società civile italiana.

Se, come asseriva qualcuno, non esistono poteri buoni, non bisogna quindi meravigliarsi se la cosiddetta Repubblica Democratica italiana sorta dalla Resistenza abbia in realtà ben presto fatto proprie le principali idee e metodologie di coloro che asseriva e vantava di aver combattuto e vinto. E se è vero che la logica fascista di controllo, autoritarismo e persecuzione del dissenso si può ritrovare in svariati aspetti di ogni tipo di Stato e delle sue emanazioni (dalla militarizzazione dei territori, all’emarginazione del dissenso politico; dal capillare controllo poliziesco, alla creazione del consenso), c’è da dire che in Italia, favorita anche dalla idea guida della cosiddetta “pacificazione”, si è avuto addirittura un vero e proprio travaso di elementi fascisti all’interno dei “nuovi” apparati istituzionali democratici. Dalla riaffermazione dei prefetti del passato regime (dei 109 prefetti fascisti in carica prima dell’8 settembre 1943, ben 105 furono reintegrati allo scadere del 1945), alla amnistia Togliatti del ’46 (salutata nelle aule di tribunale da trionfali saluti romani da parte dei gerarchi e camerati amnistiati), fino al pieno reintegro nei ruoli di polizia e nei comandi dell’esercito dei precedenti funzionari fascisti, si può ben dire che in Italia il fascismo ha potuto largamente e tranquillamente proseguire il suo cammino sotto spoglie più subdole e meschine. E non bisogna certo dimenticarsi del famigerato Codice Rocco del 1933, che ha introdotto nel codice penale, tra gli altri, strumenti di repressione come i “fogli di via” (oggi tornati drasticamente in voga), o il reato di “devastazione e saccheggio” (anch’esso ampliamente utilizzato dalla magistratura ai giorni nostri), codice mai abolito ma anzi gelosamente conservato tra le pagine dei codici legali democratici ad argine dei conflitti sociali. D’altronde, ciò che importa maggiormente sia all’ideologia fascista sia a quella statale (e quindi per estensione ad ogni forma di potere politico), è quello di veicolare tra le masse il messaggio dell’obbedienza all’autorità costituita, vera e propria chiave di volta di ogni pensiero totalitario. E per fare ciò, cosa c’è di meglio dell’infiltrazione e del mimetismo come vera e propria strategia politica? Sin dalle origini il fascismo ha sfruttato e utilizzato la confusione, il populismo, il mimetismo e l’entrismo in ambiti politici ideologicamente opposti. Se con una mano si atteggiava a strenuo difensore degli umili, con l’altra brandiva il bastone proprio contro questi ultimi, foraggiato ed armato da coloro che, a parole, diceva di voler combattere, la grande borghesia agraria ed industriale. Ed anche oggi, da parte del cosiddetto neofascismo, la strategia è sempre la stessa: da una parte si distribuisce pane nei quartieri popolari, si occupano case a favore dei senzatetto o si promuovono concerti punk-rock; dall’altra si auspicano lager e deportazioni, e si spranga e si accoltella, con la silente complicità delle forze di polizia, chi non la pensa allo stesso modo. Forme di mimetismo e populismo a cui non sono estranei altri movimenti il cui fine ultimo, alla fine della fiera, non è altro che la gestione e il controllo del potere politico in funzione antipopolare. Ed in effetti, per esempio, il tanto sbandierato valore della legalità, così apprezzato e propagandato anche da tanta parte della sinistra istituzionale, cos’altro non è se non una forma edulcorata e mimetica per veicolare tra i cittadini l’idea dell’obbedienza all’autorità costituita? Perché, in fin dei conti, ciò che importa è che nel mondo ci sia sempre qualcuno che comandi e qualcuno che ubbidisca, o, come si diceva una volta, chi sfrutta e chi è sfruttato.

(Alcune anarchiche ed anarchici individualisti)”

Movimento Anarchico Caudino sottoscrive 

Donatella Di Cesare: “STO CON GLI ANARCHICI, SOVVERSIVO È LO STATO”

Ci permettiamo di riportare il seguente articolo de IL FATTO QUOTIDIANO, citando la fonte e l’autrice, poiché riteniamo molto importante la sua diffusione.

Movimento Anarchico Caudino.

Donatella Di Cesare La filosofa sullo sgombero dell’Asilo: “Chi esprime dissenso oggi è criminalizzato”

STO CON GLI ANARCHICI, SOVVERSIVO È LO STATO.
di Maddalena Oliva

È tra i filosofi più presenti nel dibattito pubblico, accademico e mediatico. Saggista ed editorialista, ha vissuto sotto protezione fino a qualche mese fa per le minacce ricevute da gruppi neonazisti e neofascisti. Sabato scorso, nel pieno della guerriglia a Torino, si è schierata pubblicamente “dalla parte degli anarchici dell’Asilo, centro sociale sgomberato senza motivo”.

– Ci sono indagini della magistratura in corso, 8 arresti convalidati, si parla di una vera “rete sovversiva ”, non le sembra pericoloso il suo endorsement?
– Ho scritto quel post perché penso, insieme a molti altri, che sgomberare in modo così violento un centro sociale come l’Asilo che esiste da 24 anni nella città di Torino sia stata un’iniziativa immotivata: un’operazione spot.

– Il questore di Torino ha detto: “Non è un centro sociale normale, sono devastatori che vogliono sovvertire l’ordine democratico dello Stato”.
– Sono rimasta sorpresa, e indignata, da questo linguaggio. Il questore, a proposito degli arrestati, ha parlato di “prigionieri”: parola che mi sembra inappropriata, rimanda a uno scenario bellico, da Stato di polizia. In linea con il ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha chiesto “la galera per gli infami”, e col consigliere leghista che ha invocato un’altra Diaz. Tutto questo, sì, è allarmante per la democrazia.

– L’attività investigativa identifica nell’ex Asilo Okkupato un centro operativo di una rete che ha come obiettivo la distruzione dei centri per i rimpatri dei migranti, attraverso incendi da innestare all’interno dei cpr e colpendo le aziende che collaborano nel comparto dell’immigrazione.
– Chiariamolo subito: sono contraria a ogni forma di violenza fisica. Ma di cosa sono accusati gli anarchici dell’Asilo? Di aver istigato dei migranti di un Cpr a ribellarsi attraverso dei messaggi inviati in palline da tennis? Dovremmo metterci tutti davanti alle porte dei Cpr, questa è la verità. È lì che avviene la sovversione della democrazia.

– Leggo già il tweet di Salvini sull’“intellettuale di sinistra radical chic”.
– A certe espressioni folkloristiche ormai siamo abituati. Ma è venuto il tempo di avere il coraggio di essere impopolari, di posizioni devianti contro il consenso imperante. I Cpr sono strutture in cui le persone sono trattenute per essere espulse e scontano una detenzione per un iter amministrativo, senza aver commesso reati, solo perché stranieri. Questo fa parte, come più volte ho sostenuto, dell’universo concentrazionario. Bisognerebbe essere quindi grati a chi manifesta la propria indignazione contro questi centri. Condanno gli scontri di sabato, ma bisogna distinguere. Incendiare un materasso in un Cpr non è violenza: è violenza quella che viene esercitata dentro al centro su persone che, ripeto, non hanno commesso alcun reato. Ci sono stati degli atti che hanno incitato a forme di disobbedienza? Ce ne dovrebbero essere di più. I cittadini sono tali solo se si interrogano sulla legittimità delle leggi.

– Dall’elogio della disobbedienza alla violenza il confine è sottile.
– Viviamo in un’epoca autoritaria, in cui lo Stato-nazione ha perso sovranità e mostra il suo lato violento innalzando muri. Ecco perché l’anarchismo oggi è estremamente attuale: è la visione opposta al sovranismo, perché volge lo sguardo all’interno, negli interstizi di questa governance poliziesca. Non è un insulto. Anzi. È essere politici, oggi.

Fonte:
Il Fatto Quotidiano, mercoledì 13 febbraio 2019, anno 11, n. 43, p. 14.

L’Imposta: Mezzo per arricchire i ricchi (Kropotkin)

In un altro post abbiamo riportato il capitolo “L’imposta: mezzo per creare i poteri dello stato” tratto dal libro “L’anarchia e la scienza moderna” di Kropotkin. Oggi riportiamo il capitolo successivo ” L’imposta: mezzo per arricchire i ricchi”:


È così comoda l’imposta! Gli ingenui – i «cari cittadini» dei periodi elettorali – sono stati indotti a vedere nell’imposta il mezzo di compiere le grandi opere civilizzatrici, utili alla nazione. Ma i governi sanno perfettamente che l’imposta offre loro il più comodo mezzo per fare le grandi fortune a spese delle piccole, per impoverire le masse ed arricchire i pochi, per meglio assoggettare il contadino ed il proletario al fabbricante ed all’agiottatore, per incoraggiare una industria a profitto d’un’altra, e tutte le industrie in generale a spese dell’agricoltura e sopratutto del contadino o di tutta la
nazione. Se si tentasse di far votare domani alla Camera 50 milioni di lire a profitto dei grandi proprietari fondiari (come l’ha fatto Salisbury in Inghilterra, nel 1900, per ricompensare i suoi elettori conservatori), tutta la
Francia griderebbe come un sol uomo, ed il ministero sarebbe immediatamente rovesciato. Ebbene, per mezzo dell’imposta si fanno passare gli stessi cinquanta milioni dalle tasche dei poveri in quelle dei ricchi, quasi senza che quelli si accorgano del gioco. Nessuno grida, protesta, e lo stesso fine è raggiunto a meraviglia. La funzione dell’imposta non è neppure ben compresa da coloro stessi che fanno dello studio delle imposte la loro specialità.
È così semplice! Basta, per esempio, gravare di qualche centesimo addizionale il contadino, il suo cavallo, il suo carro o le sue finestre, per rovinare di colpo delle decine di migliaia di famiglie d’agricoltori.
Coloro che stentavano già tanto per cavarsela appena, coloro che il minimo urto poteva già rovinare e relegare nei ranghi del proletariato, sono schiacciati questa volta da una leggera addizione all’imposta. Essi vendono il loro pezzo di terra e se ne vanno verso la città, offrendo le loro braccia ai proprietari delle officine. Altri vendono il loro cavallo e si mettono a lavorare accanitamente colla vanga nella speranza di rifarsi. Ma un nuovo aumento d’imposta che si avrà certamente fra qualche anno, porterà loro il colpo di grazia; essi diventeranno proletari alla loro volta.
Questa proletarizzazione dei deboli fatta dallo Stato, dai governanti, avviene continuamente, d’anno in anno, senza far gettare alte grida a chicchessia, eccettuati i rovinati, la cui voce però non arriva alle orecchie del gran pubblico. Essa si è prodotta su grande scala durante questi ultimi quarant’anni in Russia, sopratutto nella Russia centrale, dove il sogno dei grandi industriali di creare un proletariato, si è realizzato alla sordina, precisamente per mezzo dell’imposta, mentre se si fosse cercato di rovinare qualche milione di contadini mediante la legge e con un sol tratto di penna, si avrebbero avute delle proteste generali, anche in Russia, sotto un governo assoluto. L’imposta ha compiuto poco a poco ciò che il legislatore non avrebbe osato fare apertamente.
Dopo ciò gli economisti che si qualificano di «scientifici», vengono a parlarci di leggi «stabilite», di sviluppo economico, di «fatalismo capitalista», della sua «negazione di sè stesso» – quando un semplice studio
delle imposte spiegherebbe da solo una buona metà di ciò che attribuiscono alla supposta fatalità delle leggi economiche. La rovina e l’espropriazione del contadino, come è stata compiuta in Inghilterra nel XVII secolo, e che Marx aveva chiamato per ciò «accumulazione capitalistica primitiva», continua anche ai giorni nostri, d’anno in anno, per mezzo dello strumento così facile dell’imposta.
Lungi dal crescere secondo le leggi immanenti di accrescimento interno, la forza del capitale sarebbe malamente paralizzata nella sua estensione, se non avesse al suo servizio lo Stato, che, da una parte, crea sempre dei nuovi monopolii (miniere, ferrovie, acqua potabile, telefoni, misure contro le associazioni operaie, azione contro gli scioperanti, educazione privilegiata,
ecc., ecc.) e, dall’altra, edifica le fortune e rovina la massa dei lavoratori per mezzo dell’imposta.

Se il capitalismo ha aiutato a creare lo Stato moderno, è pure, non dimentichiamolo, lo Stato moderno che crea e nutrisce il capitalismo.
Adamo Smith, nel secolo passato, aveva già segnalato questa potenza dell’imposta; ma lo studio, di cui aveva indicato le grandi linee, non fu proseguito, e per dimostrare oggi questa potenza dell’imposta, bisognerà
trovare i nostri esempi un po’ dappertutto.

Così, prendiamo l’imposta fondiaria, che è una delle armi più potenti in mano dello Stato. L’ottavo rapporto dell’Ufficio del lavoro dello Stato d’Illinois offre una gran copia di prove per dimostrare come – anche in uno
Stato democratico – delle fortune di milionari furono fatte, semplicemente per il modo con cui lo Stato tassava la proprietà fondiaria a Chicago.
Questa vasta città si è ingrandita a sbalzi, raggiungendo la cifra di 1.500.000 abitanti in cinquanta anni. Ebbene, colpendo d’imposta la proprietà fabbricata, mentre la proprietà non fabbricata, anche nelle vie più centrali della città, non era tassata che leggermente, lo Stato creò delle fortune di milionari.
Dei pezzetti di terra nella tale grande via, che valevano, cinquant’anni fa, 6.000 lire il decimo di ettaro, hanno raggiunto oggi il valore di 5.000.000 a 6.000.000 di lire.
È ben evidente che se l’imposta fosse stata «metrica», cioè per metro quadrato, con o senza fabbricato, o se la terra fosse stata municipalizzata, giammai simili fortune avrebbero potuto accumularsi. La città avrebbe
approfittato dell’accrescimento della popolazione, sgravando di altrettanto le case abitate dagli operai. Mentre, al contrario, poichè sono le case a sei e a dieci piani che sopportano il grosso delle imposte, l’operaio è obbligato a lavorare per permettere ai ricchi di diventare ancor più ricchi. In compenso poi, è costretto ad abitare in tuguri malsani, che, lo si sa abbastanza, arrestano perfino lo sviluppo intellettuale della classe che li abita, per lasciarla meglio in balia del fabbricante. L’Eighth Biennal Report of the Bureau of Labor Statistics of Illinois Taxation, 1894, è pieno di notizie
interessantissime a questo riguardo.
Oppure, prendiamo l’arsenale inglese di Woolwich. Un tempo, le terre sulle quali si è allargata la città di Woolwich, non erano che una garenna abitata da conigli. Dopo che lo Stato vi ha costruito il suo grande arsenale, Woolwich ed i comuni vicini sono diventata una città popolosa, dove 20.000 uomini lavorano nelle officine dello Stato per fabbricare degli arnesi di
distruzione. Un giorno, nel giugno 1899, un deputato domandò al governo di aumentare i salari degli operai. «E perché?», rispose l’economista ministro Goschen. «Sarebbe tutto assorbito dai proprietari fondiari!… Durante questi ultimi dieci anni i salari sono cresciuti del 20 per cento.
L’aumento dei salari (cito verbalmente) non ha avuto altro effetto che di far intascare una più forte somma dai proprietari fondiarii» (già milionari). L’argomento del ministro era evidentemente specioso, ma il fatto che i
milionari assorbono la maggior parte degli aumenti di salario merita di essere rilevato. Ed è perfettamente esatto.
D’altra parte, ad ogni momento, agli abitanti di Woolwich, come a quelli di tutte le grandi città, viene intimato di raddoppiare e triplicare le imposte per fogne, canali e selciati della città, che da infetta è diventata oggi salubre. E, grazie al sistema d’imposta fondiaria e di proprietà in vigore, tutte queste somme hanno servito ad arricchire di altrettanto i proprietari fondiari.
«Costoro rivendono al minuto ai contribuenti i benefici che essi hanno intascato dai miglioramenti sanitari, pagati da questi stessi contribuenti», dice, ed è perfettamente vero, il giornale dei cooperatori di Woolwich, Comradeship.
Non è tutto. Si costruisce a Woolwich una chiatta a vapore per traversare il Tamigi e legare Woolwich con Londra. Dapprima era un monopolio che il Parlamento creava a favore di un capitalista, autorizzandolo a stabilire una comunicazione mediante la chiatta a vapore. Poi, dopo un certo tempo, siccome il monopolista faceva pagare troppo caro il passaggio, la municipalità riscattò al monopolista la concessione avuta.

Il tutto costò ai contribuenti 5.500.000 lire in otto anni. Ma allora, ecco un piccolo pezzo di terra, in vicinanza della chiatta, aumentare il valore di 75.000 lire, che evidentemente sono intascate dal proprietario
fondiario.

E poiché questo pezzo di terra continuerà sempre a rincarare, un nuovo monopolio viene stabilito, un nuovo capitalista è aggiunto alla legione degli altri, già creati dallo Stato inglese.
Ma ecco che i lavoratori delle officine dello Stato di Woolwich finiscono per costituire un sindacato, ed a forza di lotte riescono a mantenere i loro salari ad unlivello più alto che in altre officine dello stesso genere.
Essi fondano anche una cooperativa e diminuiscono così di un quarto le loro spese di mantenimento, eppure, «la migliore parte della messe» va ancora ai signori!
Quando uno di questi si decide a vendere un pezzo dei suoi terreni, il suo agente pubblica testualmente nei giornali locali: «Gli alti salari pagati dall’arsenale agli operai, grazie ai loro sindacati, e l’esistenza a Woolwich
di una cooperativa prospera, rendono questo terreno eminentemente adatto per costruire delle case operaie».
Ciò che vuol dire: «Voi potete pagar caro questo pezzo di terra, signori costruttori delle case operaie.

Voi vi rifarete largamente e facilmente sugli affitti». E si paga, si acquista per costruire, si costruisce, per ripagarsi più tardi sull’operaio.
Ma ciò non è tutto. Ecco che malgrado difficoltà inaudite e un lavoro enorme, alcuni entusiasti riescono a fondare in questa stessa Woolwich una città cooperativa di casette operaie. Il terreno viene comperato e quindi prosciugato, spianato, canalizzato e solcato di vie da una cooperativa. Le varie parcelle sono poi vendute agli operai, che, sempre grazie alla cooperativa, possono costruire a buon mercato le loro casette. I fondatori si
rallegrano, è un successo completo, ed essi cercano a quali condizioni potrebbero comperare un ettaro vicino di terreno per ingrandire la loro città cooperativa. Essi avevano pagato il loro terreno in ragione di 37.500 lire l’ettaro (500 sterline l’acro); ora si chiedono loro 75.000 lire per l’ettaro vicino. Perché? «Ma, signori, la vostra città progredisce benissimo, è dessa che ha raddoppiato il valore di questo terreno».
Perfettamente! Poiché lo Stato ha costituito e mantiene il monopolio fondiario in favore del Signor Tale, è per arricchire questo signore e rendere l’estensione della loro città operaia impossibile, che essi
hanno lavorato.
«Viva lo Stato!»
«Lavora per noi, povero animale, che credi di migliorare la tua sorte con delle cooperative, senza osare di toccare nello stesso tempo alla proprietà,
all’imposta, allo Stato!»
Ma senza andare a Chicago o a Woolwich, non vediamo noi in ogni grande città, come lo Stato, solamente col colpire d’un’imposta ben più elevata la
casa a sei piani, abitata da operai, che non il palazzo privato del ricco, stabilisce un privilegio formidabile in favore di quest’ultimo? Gli permette d’intascare il plusvalore dato alla sua proprietà dall’ingrandimento e dall’abbellimento della città – e sopratutto dalla casa a sei piani, dove brulica la miseria che abbellisce la città con dei salari da mendicanti!
E ci si stupisce che le città ingrandiscano così rapidamente a detrimento delle campagne. Non si vuol vedere che tutta la politica finanziaria del XIX secolo, è stata volta a gravare l’agricoltore – il vero produttore, poiché egli riesce ad ottenere dal suolo tre, quattro, dieci volte più di prima – in favore delle città, cioè dei banchieri, degli avvocati, dei commercianti e di tutta la
banda dei gaudenti e dei governanti.
E non ci si dica che questa creazione del monopolio in favore dei ricchi non sia l’essenza stessa dello Stato moderno e delle simpatie che gode fra i ricchi e coloro che sono stati educati dalle scuole dello Stato. Ecco un
buon esempio recente dell’uso delle imposte in Africa. Si sa che l’obbiettivo principale della guerra dell’Inghilterra contro i boeri fu quello di abolire la
legge boera, che non permetteva di obbligare i negri a lavorare nelle miniere d’oro.

Le Compagnie inglesi fondate per lo sfruttamento di queste miniere non ne
ritraevano i benefici sui quali contavano.

Ed ecco ciò che il conte Grey ebbe a dire al Parlamento: «Voi dovete abbandonare per sempre l’idea di sviluppare le vostre miniere col lavoro dei bianchi. Bisogna trovare i mezzi per condurvi i negri… Ciò si potrebbe fare, per esempio, per mezzo di un’imposta di 25 lire per capanna di negri, come noi già lo facciamo al Basutoland, ed anche con una piccola imposta del lavoro (18 lire), prelevata su quei negri che non produrranno un certificato di avere lavorato quattro mesi (all’anno) presso bianchi»
(Hobson, The War in South Africa, p. 234).
Così la servitù che non si osava introdurre apertamente, s’introduceva per mezzo dell’imposta.

Supponete ogni miserabile capanna colpita da 25 lire d’imposta, e la servitù è stabilita! Rudd, l’agente di Rhodes, metteva i punti sugli i, scrivendo: «Se col pretesto della civiltà, noi abbiamo sterminato da 10.000 a 20.000 dervisci coi nostri cannoni Maxim, certamente non sarà una violenza forzare gl’indigeni dell’Africa del Sud a dare tre mesi dell’anno ad un lavoro onesto».
Sempre i due o tre giorni alla settimana! di lì non si esce. Quanto a pagare il «lavoro onesto», Rudd si esprimeva così: 60 o 70 lire al mese, è fare del
«morbido sentimentalismo». Il quarto sarebbe largamente sufficiente (Ibid., pag. 235). Così il negro non si arricchirà e resterà servo. Bisogna prendergli con l’imposta ciò che guadagna come salario; bisogna che
non possa riposarsi. Ed infatti, dopo che gli inglesi sono diventati padroni
del Transvaal, e dei «negri», l’estrazione dell’oro è salita da 313 milioni a 875 milioni di lire. Circa 200.000 «negri» sono costretti a lavorare ora nelle miniere per arricchire le compagnie che furono le cause prime della
guerra.
Ma ciò che gli inglesi fecero in Africa per ridurre i negri alla miseria e imporre loro il lavoro forzato, lo Stato l’ha fatto per tre secoli in Europa coi contadini, e lo fa ancora per imporre il lavoro forzato agli operai
della città.
E gli universitari ci parlano delle «leggi immutabili» dell’Economia politica!

Restando sempre nel dominio della storia recente, si potrebbe raccontare un altro colpo ben preparato col mezzo dell’imposta. Si potrebbe intitolarlo: «Come il Governo Britannico abbia tolto 4.600.000 lire alla nazione, per darle ai grossi Mercanti di Tè – farsa in un atto». Sabato 3 marzo 1909, si veniva a sapere a Londra che il governo avrebbe aumentato di due pence (20 centesimi) per libbra (450 grammi) il dazio sul tè.
Subito, sabato e lunedì, 22.000.000 di libbre di tè, che erano in dogana a Londra in attesa del pagamento della tassa, furono ritirate dai negozianti, pagando la vecchia imposta, e martedì il prezzo del tè nei magazzini di
Londra veniva dappertutto aumentato di due pence. Se noi non contiamo che i 22.000.000 di libbre di tè ritirate sabato e lunedì, abbiamo già un beneficio netto di 44.000.000 di pence, ossia di 4.583.000 lire, tolte dalle
tasche dei contribuenti e date ai negozianti di tè. Ma la stessa manovra fu fatta in tutte le altre dogane, a Liverpool, in Iscozia, ecc., senza contare il tè uscito di dogana, prima che fosse stato notificato l’aumento della
tassa.

Sono dunque una dozzina di milioni regalati dallo
Stato a quei signori.
La stessa cosa per il tabacco, la birra, l’acquavite, i vini, ed ecco i ricchi arricchiti di circa 25 milioni presi ai poveri! Dunque: «Viva l’imposta! Viva lo Stato».
E voi, figli dei poveri, imparate alla scuola primaria (i figli dei ricchi impareranno ben altro all’università), che l’imposta è stata creata per permettere a quei poveri cari campagnuoli di non aver più le corvées, sostituendole con un piccolo versamento annuale nelle casse dello
Stato. E dite a vostra madre, curva sotto il peso degli anni di lavoro e d’economia domestica, che vi si insegna così una gran bella scienza: l’economia politica!


Consideriamo, infatti, l’istruzione. Noi abbiamo progredito assai dall’epoca in cui il comune trovava egli stesso e una casa per la scuola, e l’istitutore. Allora, il saggio, il fisico, il filosofo si attorniavano di allievi volontari, a cui trasmettevano i segreti della loro scienza o della loro filosofia. Oggi noi abbiamo la cosidetta educazione gratuita, fornita a nostro spese dallo Stato;
noi abbiamo i licei, le università, l’Accademia, le società scientifiche sovvenzionate, le missioni scientifiche, e che so io.
Poiché lo Stato non domanda di meglio che di allargare la sfera delle sue attribuzioni, ed i cittadini non chiedono altro che di essere dispensati dal pensare agli affari d’interesse generale – di «emanciparsi» dai loro
concittadini, abbandonando gli affari comuni ad un terzo – tutto s’aggiusta a meraviglia.
«L’istruzione?» dice lo Stato, «son ben felice, signori e signore, di darla ai vostri figli! Per alleggerire le vostre cure, vi proibiremo financo d’occuparvi voi stessi d’educazione. Noi redigeremo i programmi, che non ammettono critica, ben inteso! Dapprima, noi abbrutiremo i vostri fanciulli con lo studio delle lingue morte e delle virtù della legge romana. Ciò li renderà
docili e sottomessi. In seguito, per togliere loro ogni velleità di rivolta, insegneremo loro le virtù dello Stato e dei governi, ed il disprezzo dei governati. Faremo loro credere che, avendo appreso il latino, diventano il sale della terra, il lievito di ogni progresso; che senza di loro
l’umanità perirebbe.

Ciò vi lusinga; in quanto ad essi, se ne convincono a meraviglia e diventano vanitosi in sommo grado. È quel che ci vuole. Noi insegniamo loro che la miseria delle masse è una «legge di natura», e saranno incantati d’impararlo e di ripeterlo. Modificando però l’insegnamento secondo il gusto variabile delle epoche, diremo loro che, sia per la volontà di Dio, sia per una «legge di bronzo», l’operaio impoverirebbe non appena cominciasse a star bene, poichè nella sua agiatezza si scorderebbe al punto d’avere dei figli. Tutta l’educazione avrà per iscopo di far credere ai vostri
ragazzi che fuori dello Stato Provvidenziale, non vi è salute! E voi applaudirete, non è vero?
«Poi, dopo aver fatto pagare dal popolo le spese di tutta l’istruzione, primaria, secondaria, universitaria e accademica, faremo in modo di serbare le parti migliori della torta del bilancio pei figli dei borghesi. E il
popolo, cotanto buono, inorgogliendosi delle sue università e dei suoi scienziati, non s’accorgerà nemmeno come noi erigeremo il governo in monopolio per coloro che possono pagarsi il lusso dei licei e delle università pei loro figli. Se noi dicessimo ai poveri di punto in bianco: Voi sarete governati, giudicati, accusati e difesi, educati ed abbrutiti dai ricchi nell’interesse dei ricchi, essi si rivolterebbero senza dubbio.

È evidente! Ma con l’imposta e qualche buona legge, ben «liberale», dicendo per esempio che bisogna avere subìto venti esami per essere ammessi all’alta funzione di giudice o di ministro, il popolo, buona pasta, troverà tutto ben naturale.
Ed ecco come, per successione di cose, quel governo del popolo, a mezzo di signori e ricchi borghesi, contro il quale il popolo si rivoltava un tempo, quando lo vedeva in faccia, si trova ora ricostituito sotto un’altra
forma, con l’assentimento e quasi con le acclamazioni del popolo, travestito dall’imposta!
Non parliamo dell’imposta militare, perché su di essa ciascuno dovrebbe già sapere che pensare. Quando mai l’esercito permanente non è stato il mezzo per tenere il popolo in schiavitù? e quando mai un esercito regolare
ha potuto conquistare un paese se urtava contro un popolo in arme?
Ma, prendete un’imposta qualunque, diretta o indiretta, sulla terra, sul reddito o sul consumo, per contrattare dei debiti di Stato, o col pretesto di pagarli (poiché essi non lo sono mai); prendete l’imposta per la guerra o per l’istruzione pubblica, analizzatela, guardate a che vi conduce da ultimo, e rimarrete stupiti dalla forza immensa, dall’onnipotenza da noi consentita ai
nostri governanti.

L’imposta è la forma più comoda pei ricchi per tenere il popolo nella miseria. Esso è il mezzo per rovinare delle classi intiere di agricoltori e di operai dell’industria, man mano che arrivano dopo una serie inaudita di sforzi ad accrescere un poco il loro benessere. Essa è nello stesso tempo lo strumento più comodo per fare del governo un eterno monopolio dei
ricchi.

Infine, permette sotto differenti pretesti di fabbricare le armi che serviranno un giorno a schiacciare il popolo, se si rivolterà.
Piovra dalle mille teste e dai mille tentacoli, come i mostri marini dei vecchi racconti, essa permette di avvolgere tutta la società e di canalizzare tutti gli sforzi individuali per farli convergere all’arricchimento ed al
monopolio governativo delle classi privilegiate.
E finchè lo Stato, armato dell’imposta, continuerà ad esistere, l’emancipazione del proletariato non potrà compiersi in alcun modo: né per la via delle riforme e neppure con la rivoluzione. Perché se la rivoluzione non schiaccia questa piovra, se non taglia le sue teste ed i suoi tentacoli, sarà strangolata dalla mala bestia. La rivoluzione stessa sarà messa a servizio del monopolio, come avvenne per la rivoluzione del 1793.


(Pietr A. Kropotkin)

Le tasse sono una cosa bellissima? Sì, per lo Stato.

Riportiamo un altro capitolo del libro di Kropotkin “Scienza Moderna e anarchia“, che vi invitiamo nuovamente a scaricare e leggere per intero, poiché molto esaustivo per comprendere l’Anarchia. N.B. nel libro, in seguito al capitolo che riportiamo sul blog, c’è un altro capitolo intitolato “L’imposta: mezzo per arricchire i ricchi“.

L’Imposta: Mezzo per creare i poteri dello Stato.


Se lo Stato, col servizio militare, con l’insegnamento che dirige nell’interesse delle classi ricche, con la Chiesa e con le sue migliaia di funzionari, esercita già un potere formidabile sui suoi sudditi – questo potere è ancora reso dieci volte maggiore per mezzo dell’imposta.
Istrumento anodino in sul principio, salutata e chiesta dagli stessi contribuenti quando venne a sostituire le corvées, l’imposta è diventata oggi, oltre ad un pesantissimo carico, un’arma formidabile, di una potenza tanto più grande in quanto si nasconde sotto mille aspetti, capace di dirigere tutta la vita economica e politica delle società nell’interesse dei governanti e dei ricchi. Perché coloro che sono al potere non se ne servono soltanto per avere grosse prebende, ma sopratutto per fare e disfare le fortune, per accumulare ricchezze enormi nelle mani di pochi privilegiati, per costituire i monopolii, per rovinare il popolo ed asservirlo ai ricchi, e tutto questo senza che i tassati dubitino solamente della potenza che essi hanno rimessa ai loro governanti.
«Ma non è forse più che giusta l’imposta?» chiederanno senza dubbio i difensori dello Stato. «Ecco, diranno essi, un ponte costruito dagli abitanti del tale comune. Il torrente gonfiato dalle piogge lo porterebbe via, se non si affrettassero a ripararlo.

Non è naturale e giusto di rivolgersi a tutti gli abitanti del comune per riparare questo ponte? E poiché tra essi i più hanno i loro lavori da compiere, non è dunque ragionevole di compensare il loro lavoro personale, la loro corvée, con un pagamento che permetta di chiamare degli operai e degli ingegneri specialisti?»
«Oppure, diranno, ecco un guado che non è praticabile in certe stagioni. Perché gli abitanti dei comuni vicini non si tasseranno per costruire un ponte?
Perché non pagheranno un tanto a testa, invece di venire tutti col badile alla mano, a riparare questa diga? A selciare questa strada? Oppure, ancora, perché costruire un magazzino per il grano, al quale ogni abitante debba
versare tanto di grano all’anno per prevenire le carestie, invece di confidare allo Stato la cura di provvedere al nutrimento in caso di carestia, in cambio di una imposta insignificante?»
Tutto ciò sembra così naturale, così giusto, così ragionevole, che il più ostinato individualista non dovrebbe aver più nulla a ridire, sopratutto se una certa eguaglianza di condizione regnasse nel comune.

E, moltiplicando degli esempi di questo genere, gli economisti ed i difensori dello Stato in generale si affrettano a conchiudere che l’imposta è giustificabile, desiderabile sotto tutti i punti di vista, e…. «Viva l’imposta!»
Ebbene, tutto questo ragionamento è falso. Perché se certe imposte comunali hanno realmente la loro origine nel lavoro comunale, fatto in comune, l’imposta, o piuttosto le imposte formidabili e multiple che noi
paghiamo allo Stato, hanno una ben diversa origine: la conquista.
È sui popoli conquistati che le monarchie dell’Oriente, e più tardi la Roma degli imperatori, prelevavano le corvées. Il cittadino romano ne era esente; egli se ne scaricava sui popoli sottomessi al suo dominio. Fino alla Grande Rivoluzione, in parte fino ai giorni nostri, i pretesi discendenti della razza
conquistatrice (romana, germanica, normanna), cioè i «sedicenti nobili», sono stati esenti dall’imposta. Il bifolco, l’osso nero conquistato dall’osso bianco, figurava solo sulla lista dei soggetti alla corvée ed alla taglia. Le terre dei nobili, o «nobilitate», non pagavano nulla fino al 1789. E oggi ancora i ricchissimi proprietari inglesi non pagano quasi nulla per le loro
vastissime proprietà, e le conservano incolte, aspettando che il loro valore abbia decuplato.
Dalla conquista, dalla servitù viene dunque l’imposta, che noi paghiamo ora allo Stato, e non già dal lavoro comunale liberamente accettato. Infatti, quando lo Stato stremava il popolo con le corvée nel XVI, XVII e XVIII secolo, non si trattava punto di lavori che i borghi ed i villaggi facessero in virtù del libero consenso dei loro abitanti. I lavori comunali continuavano certo ad essere fatti dagli abitanti dei comuni; ma oltre a ciò, centinaia
di migliaia di contadini, condotti sotto scorta militare dai villaggi più lontani, dovevano costruire delle strade nazionali o delle fortezze, trasportare le vettovaglie necessarie agli eserciti, seguire, coi loro cavalli
estenuati, i nobili partiti alla conquista di nuove castella.
Altri lavoravano nelle miniere e nelle officine dello Stato; altri ancora, sotto lo staffile dei funzionari, obbedivano alle fantasie delittuose dei loro signori, scavando gli stagni dei castelli reali, o costruendo dei palazzi pei re, i nobili e le loro cortigiane, mentre le donne ed i fanciulli di questi servi rodevano l’erba dei campi incolti, mendicavano sulle strade o muovevano
affamati, sotto le palle dei soldati, all’assalto dei convogli di grano esportato.
La corvée, imposta dapprima alla razza conquistata (proprio come ora i francesi, gli inglesi ed i tedeschi la impongono ai neri dell’Africa), e più tardi a tutti i villani, tale fu l’origine, la vera origine dell’imposta che noi paghiamo oggi allo Stato. Chi si stupirà dunque chel’imposta abbia conservato fino ai giorni nostri l’impronta della sua origine?
Fu un immenso sollievo per le campagne quando, all’avvicinarsi della Grande Rivoluzione, si cominciò a sostituire alle corvées dello Stato una specie di riscatto, l’imposta pagata in denaro. La Rivoluzione poi, portando finalmente un raggio di luce nei tuguri, abolì una parte delle gabelle e delle taglie che pesavano direttamente sui più poveri, e cominciò a sorgere l’idea
di un’imposta più equa, ed anche più lucrosa per lo Stato, idea che pare fosse bene accolta da tutti i contadini e sopratutto da quelli arricchiti dal commercio o dal prestito ad interesse.
Ma, finora, l’imposta è stata fedele alla sua prima origine. Tra le mani dei borghesi, che si sono impadroniti del potere, non ha cessato di crescere, non
ha cessato di essere impiegata sopratutto a vantaggio della borghesia. Per mezzo dell’imposta, la cricca dei governi (lo Stato rappresenta la quadruplice alleanza del re, della Chiesa, del giudice e del signore-soldato) non ha cessato di allargare le sue attribuzioni e di trattare il popolo come razza conquistata. Ed oggi, grazie a questo strumento prezioso che colpisce senza che se ne sentano direttamente i colpi, noi siamo diventati quasi tanto asserviti verso lo Stato quanto lo erano i nostri padri verso i loro signori e padroni.
Quale quantità di lavoro ciascuno di noi dà allo Stato? Nessun economista non ha mai cercato di calcolare il numero delle giornate di lavoro che il
lavoratore dei campi e delle officine dà ogni anno a questo idolo babilonese. Si sfoglierebbero invano i trattati di economia politica per arrivare ad una valutazione approssimativa di ciò che l’uomo, produttore delle ricchezze, dà del suo lavoro allo Stato.

Una semplice valutazione basata sul bilancio dello Stato, della nazione, delle provincie e dei comuni (che contribuiscono pure alle spese dello Stato) non direbbe nulla, perché si dovrebbe stimare non ciò che entra nella cassa del Tesoro, ma ciò che ogni lira versata al Tesoro, rappresenta di spesa reale fatta dal contribuente. Tutto ciò che noi possiamo dire, è che la quantità di lavoro, data ogni anno dal produttore allo Stato, è enorme. Essa deve raggiungere, e per certe classi superare i tre giorni di lavoro alla settimana, che il servo dava una volta al suo signore.
E si noti bene, che qualunque cosa si faccia per rimaneggiare il regime fiscale, il lavoratore ne sopporta sempre tutto il peso. Ogni centesimo pagato al Tesoro è pagato in fin dei conti dal lavoratore, dal produttore.
Lo Stato può ben intaccare più o meno il reddito del ricco. Ma bisogna pure che il ricco abbia un reddito, che questo reddito sia creato, prodotto da qualcuno, e non può essere creato che da colui il quale produce qualche
cosa col suo lavoro. Lo Stato reclama al ricco la sua parte di bottino; ma donde viene questo bottino, che rappresenta in fin dei conti tanto di grano, di ferro, di porcellane o di stoffe vendute, tutte cose risultanti dal lavoro dell’operaio produttore? A parte le ricchezze che vengono dall’estero, e che rappresentano lo sfruttamento di altri lavoratori – di abitanti della Russia, dell’Oriente, dell’Argentina, dell’Africa – sono pur sempre i lavoratori del paese stesso, che devono dare tante giornate del loro lavoro per pagare l’imposta, come per arricchire i ricchi.

Se l’imposta prelevata dallo Stato, in paragone alle sue immense spese, sembra essere un po’ meno pesante in Inghilterra che negli altri paesi d’Europa, lo si deve a due ragioni: la prima è che il Parlamento composto per metà di proprietari fondiari, favorisce questi e permette loro di prelevare un tributo enorme sugli abitanti, nelle città e nelle campagne, non pagando che una piccola imposta. E l’altra, la principale, è che di tutti i paesi europei l’Inghilterra è quello che preleva di più sul lavoro degli operai delle altre nazioni.

Ci si parla qualche volta d’imposta progressiva sul reddito, che, a dire dei nostri governanti, colpirebbe i ricco a vantaggio del povero. Tale fu, infatti, l’idea della Grande Rivoluzione, quando introdusse questa forma d’imposta. Ma oggi tutto ciò che si ottiene con l’imposta leggermente progressiva è di assottigliare un po’ il reddito dei ricchi; si prende loro un po’ più di prima di
quello che sottraggono ai lavoratori. Ecco tutto. Ma è sempre l’operaio che paga, e che generalmente paga più di quanto lo Stato non prenda al ricco.
Noi stessi abbiamo potuto vedere a Bromley, come essendo stata aumentata l’imposta sulle case abitate in questo comune nella proporzione di circa 5 lire all’anno per ogni appartamento operaio (mezza-casetta, come si
direbbe in Inghilterra), immediatamente i prezzi di queste abitazioni crebbero nella proporzione di 60 centesimi per settimana, ossia 30 lire all’anno. Il proprietario dell’immobile si scaricò subito dell’aumento sui suoi inquilini, e ne profittò di colpo per aumentare il suo sfruttamento.
Riguardo all’imposta indiretta, noi sappiamo che gli oggetti consumati da tutti sono particolarmente colpiti dall’imposta (gli altri rendono poco), non solo, ma ogni aumento di qualche centesimo dell’imposta sulle bevande, sul caffè, sul grano, si cambia in un aumento ben più forte dei prezzi pagati dal consumatore.


È evidente, d’altronde, che solamente colui che produce, che crea la ricchezza col suo lavoro, può pagare l’imposta. Il resto non è che spartizione del bottino sottratto a colui che produce, spartizione da cui deriva poi sempre per il lavoratore un aumento di sfruttamento.
Così noi possiamo dire che a parte l’imposta prelevata sulle ricchezze dovute all’estero, i miliardi versati ogni anno al Tesoro pubblico – in Francia, per esempio – sono prelevati quasi per intero sul lavoro dei dieci
milioni circa di lavoratori che possiede la Francia.
Qui, il lavoratore paga come consumatore di bevande, di zucchero, di cerini, di petrolio; là, pagando il suo affitto, versa al Tesoro l’imposta prelevata dallo Stato sul proprietario della casa. Altrove, comperando il suo
pane, paga le imposte fondiarie, la rendita della terra, l’affitto e le imposte del panettiere, l’alta sorveglianza, il ministero delle finanze, ecc. Da ultimo, comperando un abito, paga i diritti sul cotone importato, il monopolio
creato dal protezionismo; comperando del carbone, viaggiando in ferrovia, paga il monopolio delle miniere e delle strade ferrate, creato in favore dei capitalisti che le possiedono dallo Stato. Insomma, è sempre il lavoratore che paga tutta la sequela d’imposte che lo Stato, la provincia, il comune prelevano sul suolo e sui suoi prodotti, la materia prima, la manifattura, il reddito del padrone, il privilegio dell’istruzione, tutto, tutto ciò che il comune, la provincia e lo Stato vedono cadere nelle loro casse.

Quante giornate di lavoro all’anno rappresentano dunque tutte queste imposte? Non è forse probabile, fatta l’addizione, di trovare che l’operaio moderno lavora più per lo Stato che il servo non lavorava altra volta per
il suo padrone?
E fosse soltanto questo! In realtà, l’imposta dà ai governanti il mezzo di
rendere lo sfruttamento più intenso, di ritenere il popolo nella miseria, di creare legalmente senza parlare di furto o di «Panama», delle fortune che mai il capitale solo non avrebbe potuto accumulare.